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The Killer Inside Me

Regia di Michael Winterbottom vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Killer Inside Me

di ROTOTOM
6 stelle

E’ un caso che Casey Affleck, il protagonista di The killer inside me abbia lo stesso cognome , Ford, del codardo che uccise Jesse James nel bel film di Andrew Dominik?  Il film di Winterbottom tratto da un romanzo  del 1952 di Jim Thompson, scrittore pulp e sceneggiatore per il cinema di Kubrick e Peckimpah, sembra l’aggiornamento dell’epica del codardo inserito in un’epoca successiva a quella della conquista del west. Ford:  killer per ambizione a fine ottocento, killer non si sa bene perché nei primi anni 50. L’assassino che è in lui cresce con il crescere della società fondata sul petrolio e la speculazione, sfruttando come mimetizzazione le usanze e le buone maniere della comunità agreste soverchiata dalle torri dei pozzi e dall’arricchimento selvaggio. Una schizofrenia sociale che concentra il proprio focus sulla faccia da bimbo di Affleck, paradigma vivente di quella società. Istituzione e natura si confrontano senza mai incontrarsi, nella sudata e sonnolenta cittadina di provincia in attesa di esplodere come città industriale, lo sceriffo è anche il serial killer che stempera nel sangue la propria inadeguatezza. Malato fin dall’origine, il vicesceriffo Lou Ford, gentile ed affabile tutore dell’ordine, con la stessa gentilezza uccide per convenienza, per vendetta, per noia e follia protetto dalle maschie usanze tramandate nel tempo da uomini col cappello e l’onore ben visibili.

Il codardo Ford picchia e in fondo disprezza le donne, irride gli amici e colpisce a tradimento. Il vecchio sceriffo che lo mantiene inconsapevolmente nel cono d’ombra dell’insospettabilità evidentemente non ricorda la vicenda di Jesse James.  La città è un crogiuolo di   viltà, interessi e sospetti, il teatro essenziale del più classico dei noir. La messa in scena di Winterbottom è accordata al passo lento di questi cowboy fuori tempo massimo, un classico fatto di donne fatali, torbidi incontri e doppiezze. Un gioco sempre più scoperto e mortale calibrato sulle fattezze ambigue del protagonista, sulla sua voce strozzata in un lamento infantiloide (sebbene il doppiaggio sia spiazzante il tono di voce è simile a quello originale) che denuncia un disagio psichico accentuato e la fanciullesca sfacciataggine nel negare anche le più palesi evidenze.

The killer inside me spiazza proprio perché non c’è nulla da scoprire,  dovendo accettare con fastidio l’esibizione della banalità del male, non c’è meccanismo che svicoli e distragga ne’ una motivazione palese che lenisca il dolore. La manifestazione frontale e realistica dell’ omicidio assume connotazioni surreali proprio per l’incoerenza e la meschina cialtronaggine con la quale viene perpetrato. Il legame della società con  il male è garantito dalle piccole rivelazioni che puntualmente dopo ogni delitto sbucano a minare il disegno criminale di Ford, disegno del quale in realtà non si preoccupa affatto affidando alla casualità delle coincidenze la riuscita del crimine.   E’ un affresco glaciale, quello di Winterbottom, essenziale e lineare che non indugia in sovrascrittura attingendo anzi alle caratteristiche del genere per costruire il racconto. La stessa chiusura del film è talmente folle nella sua infondatezza che non può generare altra certezza se non quella del diffuso insinuarsi dell’ingenuità che si trasforma in idiozia nel momento in cui si trova a confrontarsi con il male puro. Lou Ford è un uomo moderno, in questo senso, anticipatore dei tempi e perfettamente distaccato dalla realtà del tempo da permettersi un universo privato, manipolatore e cinico. Gli altri personaggi sono granitici, fermi ad un’epoca trapassata remota fatta di azioni e reazioni coerenti. La sensualità è criptata in reiterati, insistiti incontri carnali anche se l’ossessione per il sesso ha chiara la componente di dominio e punizione verso la femmina, condizione ricorrente nella psicopatologia dei serial killer. Solo che questo si scoprirà, nella realtà, solo parecchio tempo dopo. Jessica Alba e Kate Hudson sono i corpi del reato. Corpi speculari e mossi dalle stesse pulsioni solo divise, ancora una volta, dalla schizofrenica divisione sociale. Prostituta una, ragazza di buona famiglia l’altra. L’unico che può incontrare entrambe  è solo un codardo psicopatico, Lou Ford.

Può non piacere a tutti, The killer inside me proprio per la freddezza e il senso di disastro imminente che fin dall’inizio è palese e puntualmente si manifesta, mentre qualche passaggio a vuoto nella regia ne penalizza un po’ troppo le ambizioni. Forse per la materia incandescente della storia un polso un po’ più fermo nel controllo della storia sarebbe servito, alcuni sviluppi narrativi se non si è stati lettori del libro risulteranno criptici e non sempre tra i bollenti congressi carnali filtra una passione coinvolgente.  L’operazione sembra derivativa, concentrata a parlare agli estimatori del libro per ciò che non viene spiegato, lasciando un po’ l’amaro in bocca per la mancanza dell’immagine filmica che spieghi quel non detto. Non è un capolavoro, ma per come siamo abituati oggi ad arrovellarci il cervello in cerebrali sceneggiature ricche di trabocchetti, chiavistelli e sussulti narrativi è sicuramente di una classicità deviante,  un discreto film i cui sottotesti vanno ricercati nella mortificante semplicità dell’essere codardo tipica della nostra contemporaneità.

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