Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Vinterberg con Submarino ha creato il suo capolavoro e, guarda un po', in Italia a un anno e mezzo dall'uscita il film ancora non è arrivato. E si presuppone, dati gli argomenti scabrosi in esso contenuti, che faticherà a giungere sui nostri schermi anche in un futuro prossimo. Dopo avere a lungo faticato a ritrovare la sua strada, ben cominciata con il più crudo verismo in stile Dogma di Festen e proseguita sbandando fra lavori meno riusciti (Le forza del destino, Dear Wendy) e una specie di sequel (Riunione di famiglia) che è soltanto una pallida imitazione del film d'esordio, ecco quindi che il regista danese gira un lungometraggio intriso della follia e della violenza dei nostri giorni (il che rimane comunque in linea con i contenuti della sua intera filmografia), nel quale però serpeggia un'amarissima rassegnazione alla vita che passa per valori eterni e indiscutibili come la famiglia (i figli, i bambini in particolare), l'amore (cercato, chiamato disperatamente, fino alla prostituzione e all'omicidio, a causa della sua mancanza), perfino l'amicizia (più che quella fra Nick e Ivan, Submarino sembra esaltare quella fra Nick e Ana, reduci da una fallimentare relazione, ma ancora in grado di cercarsi, di volersi in qualche modo bene). Ma attenzione a non fraintendere il discorso sui 'buoni sentimenti', perchè Submarino può essere tutto, tranne che un film 'religioso' (tantomeno cristiano, nonostante i frequenti richiami narrativi alla Chiesa): in questa terra raccontata dal film non c'è alcun Dio, c'è solo l'uomo e ogni prospettiva di realizzazione (o di felicità, o di salvezza, o di redenzione) va vista in maniera umanistica, non contro Dio, ma soltanto in relazione all'essere umano. Sceneggiatura del regista e di Tobias Lindholm, tratta da un romanzo di Jonas T. Bengtsson; interessante (e tutt'altro che fastidiosa) l'idea di spostare completamente il fulcro della narrazione da un fratello all'altro verso i tre quarti del film, quando la storia di Nick arriva al suo apice narrativo (poi, nel finale, le due strade viaggeranno, sempre sul piano del racconto, parallele). Esatte la scelte di casting: colpiscono (feriscono) sia lo sguardo perennemente ammutolito dal dolore di Jakob Cedergren (visto in una particina in The green butchers di Thomas Anders Jensen) che il cadaverico, impassibile alone che avvolge il quasi esordiente Mads Broe Andersen. A proposito di Jensen: l'impressione di trovarsi dentro a una sua sceneggiatura è fortissima. 8/10.
Due fratelli sono cresciuti precocemente - a causa di una madre alcolizzata e di un fratellino minore morto piccolissimo - e con un saldo legame fra loro. Trentenni, dopo essersi persi di vista per qualche tempo, si ritrovano. In carcere, però: uno è un alcolizzato accusato di omicidio e l'altro è uno spacciatore tossicodipendente.
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