Regia di Bansky vedi scheda film
Di Banksy, writer inglese ormai assurto a fama mondiale, si sa pochissimo, vista la caparbietà con cui riesce a nascondere la sua identità. Eppure i suoi disegni disseminati sui muri di mezzo mondo - compresi quelli dei territori palestinesi dove ha dipinto degli squarci esotici - rappresentano una delle pagine più innovative, rivoluzionarie e dissacranti della street art. Dai graffitari degli anni '90 alle mostre nei grandi spazi espositivi di Los Angeles e del Moma di New York, il suo documentario è una strana creatura tutt'altro che autocelebrativa: in esso, piuttosto, vi è un singolare gioco di specchi tra lui, che compare sempre rigorosamente in controluce e incappucciato, e Thierry Guetta, un francese mezzo pazzo con una mania compulsiva che lo spinge a filmare sempre e qualsiasi cosa. Filma di qua, filma di là, Thierry - trasformatosi poi in Mister Brainwash (il signor lavaggio del cervello) - si ritrova a filmare i writer nelle loro incursioni più acrobatiche (e, tra questi, lo stesso Banksy), fino a quando non decide di trasformarsi lui stesso in un marchio, arrivando a diventare una star a metà strada tra pop e street art, capace di rastrellare milioni di dollari saccheggiando Obey, Banksy e Andy Warhol.
La forza di questo straordinario documentario sta nel restituire un'immagine a tutto tondo della street art, mostrando - senza esplicitarla - la zona liminare tra arte e impostura. Si colgono il ruolo centrale della ripetizione dell'atto e i punti di contatto tra arte di strada e branding. È esemplificativo il caso di Invader, uno che incolla sui muri, nelle posizioni più inarrivabili, i personaggi del videogioco Space Invaders, piccoli mosaici realizzati con piastrelle colorate. Un documentario poco convenzionale, per nulla didascalico, eppure capace di ricostruire il percorso accidentato di questa forma d'arte che è la quintessenza della volatilità e al tempo stesso la summa della riproducibilità tecnica di cui parlava Benjamin: un vero coacervo di contraddizioni.
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