Regia di Babak Najafi vedi scheda film
Premio Opera Prima alla Berlinale 2010 per Babak Najafi. Un regista nato in Iran e cresciuto in Svezia che esordisce con una storia di disagio, espressa nel crudo linguaggio contemporaneo, a base di violenza fisica e verbale, eppure rispettosamente appoggiata sul silenzio. Come nel cinema di Ingmar Bergman, il dramma si insedia in una dimensione ristretta e riservata: si fa piccolo e rimbomba negli spazi angusti di microcosmi domestici, o, semplicemente, tra le pareti dell’anima. E l’incomunicabilità affligge i rapporti più intimi ed esclusivi, come quello tra una madre e un figlio. A Sebbe, che ha appena compiuto quindici anni, il mondo appare oltremodo complicato. Sarà per questo che passa il tempo a costruire ingegnosi marchingegni elettrici e meccanici, come un lampadario con decine di lampadine ed un motore artigianale per la sua bicicletta. E sarà per questo che sogna anche di distruggerlo, quel mondo, con la dinamite, nello stesso modo in cui i minatori fanno saltare i fianchi delle montagne, e in America, in un secondo, si demoliscono interi grattacieli. Questo film è dominato dalla forza dirompente dell’attimo: quello unico e decisivo che la sorte introduce inaspettatamente nella nostra vita, dando vita alle occasioni, alle coincidenze, ai lampi che accecano la mente. In un istante si diventa ladri o vandali, ci si affeziona a un animale incontrato per strada o si piange vedendolo morire, si ritrova un ricordo prezioso o si decide di buttarlo via, ci si scopre ad odiare gli altri oppure se stessi. Il male di vivere ondeggia senza sosta tra questi due estremi, impedendo a chi ne è colpito di scegliere la direzione da seguire. Anche l’amore si mette a barcollare, se è turbato dal dolore di non poter essere, per l’altro, quello che si vorrebbe. Eva, che, dopo la morte del marito, sbarca il lunario consegnando i giornali a domicilio, non ha né il tempo né il denaro per dare a Sebbe ciò che a un ragazzo della sua età spetterebbe di diritto: un affetto costante, una guida sicura, una vita dignitosa, che lo mettano al riparo dal disprezzo altrui. Sebbe, invece, è riconosciuto come povero e indifeso e per questo viene preso in giro e picchiato dai compagni di scuola. Anche la persecuzione, in fondo, è frutto del caso: qualcuno che incrocia il nostro cammino ci riconosce come deboli e ci prende di mira. Succede ad Eva, che, una notte, viene aggredita da un gruppo di giovinastri, e un giorno viene seguita da un cane randagio. È sempre in un singolo momento che la nostra condizione di svantaggio diventa evidente, che decide di esplodere richiamando a sé l’attenzione dell’ambiente circostante. Un effetto che il destino può produrre su di noi, investendoci con la furia devastatrice della tragedia, o con il micidiale pungolo della tentazione; ma che, in fondo, se vogliamo, possiamo anche innescare con le nostre stesse mani, pianificando accuratamente come e quando provocare il botto. Questo film è un viaggio che, attraverso una vicenda esile, anonima e quasi priva di trama, ci porta ad esplorare le possibili vie di fuga da una situazione insostenibile: alcune fantasiose, altre crudeli, ma tutte, in fondo, insensate. Stratagemmi estemporanei, dettati dalla disperazione, che rispondono all’ostilità della gente e del destino come fanno i soldati quando sono sotto assedio.
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