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Genitori & figli. Agitare bene prima dell’uso

Regia di Giovanni Veronesi vedi scheda film

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La recensione su Genitori & figli. Agitare bene prima dell’uso

di scapigliato
8 stelle

Nell’anno in cui l’Italia inizia a produrre film lontani dalle tematiche stantie dei vent’anni precedenti e a guardare oltre il cinepanettone, Giovanni Veronesi, purtroppo inviso a troppa critica, sforna uno dei suoi prodotti migliori.

Innanzitutto Silvio Orlando è in perfetta forma ed è indubbiamente il migliore in scena. Applausi comunque per Littizzetto, Placido e Degli Esposti che anche se brevemente e abbastanza stereotipati danno vita a personaggi capaci di instaurare un dialogo a distanza con lo spettatore. Mentre i giovani protagonisti hanno un successo altalenante. Chiara Passarelli, figlia di Orlando e Litizzetto, è la protagonista adolescente che sulla propria pelle vive di tutto e di più, dalla separazione dei genitori ai primi amori, dalla scoperta della famosa e temuta nonna Lea alle prime esperienze sessuali, e riesce a restare un personaggio più che credibile grazie a una innata presenza scenica buffa e perpetuamente fuori luogo e fuori contesto. Un corpo comico molto naturale. Ma anche un corpo sociale in rivoluzione. Non solo vuole fare le sue prime esperienze nonostante la tenera età, ma sa anche scontrarsi con le consuetudini e i rituali da branco degli adolescenti di oggi. Le sue amiche “troie”, perché solo così si possono chiamare ragazzine di quindici anni che giocano a chi la molla prima, perdono il confronto dialettico e intellettuale con il personaggio di Nina; allo stesso tempo, il ridicolo personaggio di Yang, un cinese del liceo che deflora su appuntamento le vergini in palestra come se fosse uno stallone da monta invece è solo un povero sfigato di cui possiamo prevedere l’umiliante futuro, viene messo all’angolo dall’energia dignificante di Nina che fa del suo corpo e del suo essere femmina un’arma sociale di tutto rispetto. Le amiche troie invece piangeranno rimmel nero agli angoli delle strade.

Andrea Fachinetti invece, dà vita a un personaggio sgradevole che rappresenta il fondo del barile della generazione attuale per la quale partecipare al Grande Fratello, a X Factor o altri talent show o, peggio ancora, diventare famosi sfoggiando la propria mediocrità e ignoranza, a volte anche utilizzando una vera e propria “prostituzione” di sé attraverso i social media, è più importante che guadagnarsi onestamente e con dignità il proprio stipendio, vivendo in modestia e godendo di quello che si ha; oppure sono “esperienze” – wtf?? – più importanti che studiare, farsi una ampia cultura, informarsi seriamente e interrogarsi su quello che succede intorno per non farsi fregare né comandare come pupazzi dai potenti. Purtroppo, nonostante l’ottimo testo scritto per la parte del padre di Fachinetti, ovvero Placido, che non le manda a dire né al figlio né a un’intera generazione di sprovveduti e decerebrati – compresi gli adulti in pantofole che inglobano come zombi ogni cazzata proferita dai programmi tv – nonostante l’ottimo e persuasivo testo, il figlio non cede di un millimetro e perpetua la propria spocchia celebrando la propria ignoranza come un valore: «So cantare, so ballare, ho fatto un book fotografico e sono impazziti tutti quanti per quanto sono fotogenico, comunico, sono simpatico, faccio empatia» e sticazzi? Subito al Festival della Stronzata Mondiale di Lione, direbbe l’Abatantuono de I Fichissimi (Carlo Vanzina, 1981). Come si può non fare il tifo per il personaggio di Placido e sperare gli tiri due schiaffoni. Veronesi troppo morbido.

  Vittorio Emanuele Propizio è, tra i più giovani, il più esperto e si vede. Il suo personaggio è divertente perché è lui a tratteggiarlo con quella maldestria simpatica, un po’ cafona, ma piena di tenerezza borgatara. Mentre il piccolo Matteo Amata è una furia incontrollabile. Il suo piccolo personaggio, il cui problema razzista non viene poi chiarito a fine pellicola – mossa intelligente – è travolgente ed è lo specchio deforme con cui rivedere distorti i valori che l’Italia sta perdendo progressivamente. Il piccolo infatti, imbeve come una spugna le tensioni che vive in casa, a scuola, in televisione e senza avere altre valvole di sfogo o semplicemente, come credo io, per farsi notare e far notare il proprio disagio per l’assenza di una famiglia unita, si butta sull’attacco razzista e la violenza sul compagno rom. Ma non si creda però che il film sia buonista nei confronti delle minoranze etniche, perché la furberia dei rom viene descritta impeccabilmente con un rapido taglio di lama in sceneggiatura che mischia di nuovo le carte. Come ci sono rom e immigrati che delinquono, ci sono altrettanti che sono civili e perfettamente integrati, così come ci sono moltissimi italiani ugualmente disonesti e pericolosi, solo che si confondono bene con la merda che c’è intorno.

Un buon film quindi, tra i migliori del regista e tra i migliori di quel 2010 che sembra aver segnato l’avvio di una nuova primavera del cinema italiano con film di generi vari, ibridazioni, stili e registri nuovi, una commedia rivista e rinnovata, e con autori, attori e storie nuove e impattanti, producendo così pellicole di assoluto interesse.

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