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Alamar

Regia di Pedro González-Rubio vedi scheda film

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La recensione su Alamar

di M Valdemar
8 stelle

 

locandina

Alamar (2009): locandina

 


Al mare.
Sul mare.
Dentro.
I moti conflittuali di una relazione bellissima ma caduca – dalla quale è sgorgato un dono preziosissimo, il figlio Natan, diviso in due anime complesse e agli antipodi (Messico, il padre; Italia, la madre) – ondeggiano e cullano un racconto formativo in divenire, anticipato dal formato ridotto di istantanee e voice-over/dialoghi che possiedono l'essenza del fondale: Alamar naviga sui noti natanti della docufiction povera (soltanto) di mezzi per esplorare i compositi, stratificati vortici dei rapporti che definiscono identità e appartenenza.
Dalla caotica vita urbana (Roma, ma potrebbe essere qualsiasi città, metropoli) alla estatica, selvaggia e pressoché incontaminata, riserva di Banco Chinchorro: case-palafitte robuste e rispettose di chi le ospita, la pesca come rituale ancestrale e inestimabile crocevia di sostentamento, cultura, vita, e l'insieme degli organismi che compongono un mastodontico quadro vivo e animato.
Un sincero, carezzevole flusso filmato – senza filtri né sovrastrutture – continuo e dolce, in cui immagini sublimi, riprese “dal vero”, con la mdp sempre diretta sui personaggi o sul prodotto delle loro azioni, immersioni subacquee e dialoghi scarni ma incisivi come i denti di uno squalo restituiscono le vaste, eterogenee profondità tanto oceaniche quanto “umane”.
Nel rapporto padre-figlio – fatto dell'irripetibilità del momento, toccante e autentico (la prima avventura in barca, col genitore che tiene stretto a sé Natan con una mano sul cuore; gli insegnamenti del quotidiano vivere il/sul mare; la mano tenuta mentre il piccolo scruta le meraviglie coralline; la presenza del nonno-padre, testimone nonché saggio dispensatore di consigli) e della dolceamara consapevolezza di un destino segnato (il ritorno dalla madre) che non impedisce ma anzi nutre, fortifica il legame (poiché lui sarà sempre con il figlio ovunque questi, fisicamente, sarà) – si riflette quello, corrispondente per suoni, sensi, sensazioni, chimica, dinamiche, dell'uomo con la Natura.
I cui elementi – l'abbacinante blu delle acque, il vento, il sole, la luce, i silenzi e (r)umori, odori, la pioggia, la terra (giusto una breve sortita s'una spiaggia per pulire la barca), e i pesci, i crostacei, gli aironi (tra cui la “domestica” Blanquita), i coccodrilli, i coralli – danno forma e corpo a una rappresentazione che oltrepassa il mero assemblaggio “tecnico”, i misurabili flutti della/e “tesi”, il banale “bel” contorno/sfondo.
Forse un po' ripetitivo e schematico in taluni passaggi, ma nell'esiguo budget e nella breve durata (75 minuti compresi i titoli di coda) Alamar trova una propria forza e una propria via, la linea di carico perfetta per lo sviluppo di una storia “piccola”.
Che, come marea portatrice di preziosi lasciti, si ritira con una “grande” scia dietro di sé: agli sgoccioli del periodo paterno, Natan immette un suo disegno in una bottiglia e, lanciatala in acqua, (si) chiede se questa «andrà in Italia, o in Messico».

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