Regia di Pedro González-Rubio vedi scheda film
Un bambino, un padre, un nonno. E il paradiso terrestre da cui sono nati.
Oceano. Suggestione d’acqua che rumoreggia e sa di sale. Trasparenza danzante. Onde che sbilanciano la vista. Stridore di luce rifratta. Ombre frastagliate di scogli e strane creature. Pesci che guizzano di morte e bellezza, in un fremito trionfante di carne bianca e argentea. È la poesia, fresca e ruvida, salmastra e squamosa, di tutti i luoghi affacciati sull’infinito. E che diventa magia in questo paradiso semisconosciuto, intorno alla riserva naturale del Banco de Chinchorro, la grande barriera corallina al largo delle coste messicane. In questo microcosmo solitario e pacifico, l’armonia fra uomo e natura si sostituisce alle rigide regole del tempo, trasformando i giorni in un continuo fluire, in cui attesa e scoperta si rincorrono, senza stancarsi mai. La pazienza del pescatore si fonde con la gioia provata di fronte ad ogni nuova preda: una cattura vissuta come un dono, che non ruba niente, e che tutto restituisce all’eterno ciclo vitale. In questa storia, tre generazioni di uomini condividono l’esperienza di combattere ad armi pari contro la mar: un essere femminile, generoso e temibile, ricco di risorse ed avaro di futilità. In quel luogo appartato ed assorto, semplice è solo ciò riesce ad essere importante anche quando si svolge nell’anonimato, dove nessuno vede: a bordo di una barca, all’interno di una palafitta. Come il dialogo fra un bambino ed un airone, che mangia gli insetti dalla sua mano. Il piccolo Natan è nato e cresciuto a metà fra il nostro mondo e quest’altro, sfuggente e silenzioso, dove si può sparire, per un po’, immergendosi in una pienezza fatta unicamente dell’assenza di paura, del rifiuto di ogni pretesa. Sua madre Roberta lo lascia partire dalla sua città, Roma, per mandarlo dal padre Jorge e dal nonno, a passare una vacanza senza giocattoli, né televisione, né niente che non appartenga all’essenza del creato, a ciò che è buono di per sé e basta a sopravvivere. Dove non esiste il superfluo e l’artificioso, nulla può essere giudicato: non vi sono mostri o nemici, non lo sono i coccodrilli o i barracuda, a cui si dà del cibo, e che a loro volta danno cibo. Il documentario di Pedro González-Rubio ci accompagna dentro ad una realtà che, per essere raccontata, chiede soltanto di essere guardata da vicino, con attenzione, cogliendo le sfumature degli attimi in cui gli eventi rimangono fuori dal discorso, perché quanto accade è solo una forma di pensiero che si fa immagine. La sua anima è un desiderio che punta lontano: è una lenza lanciata oltre i confini dell’inquadratura, un uccello che non risponde al richiamo, un messaggio in una bottiglia che forse nessuno mai leggerà. La perfezione è una perenne incompiutezza, che non distingue fra oggi e domani. Straordinario è non volere che i sogni si avverino; è trovare la felicità nel sognarli, mentre si dorme, al riparo dal sole che, presto o tardi, ci riporta, dalla nostra personale follia, alla ragione di sempre, che è la stessa per tutti.
Alamar (2009): scena
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