Regia di Masaki Kobayashi vedi scheda film
Quattro storie, di cui una lunga quanto un film a sé stante, che ci raccontano il mistero di figure impalpabili come i fantasmi, circoscritti a storie ambientate nel Giappone del passato, o comunque ad esso legate in modo particolare.
In "Capelli neri" un giovane samurai, avvilito dalle difficoltà economiche che non gli permettono di vivere dignitosamente, né di mantenere con decoro la giovane moglie, si decide a partire, abbandonando la consorte che lo supplica invano di ripensarci.
Prende servizio presso un signore di un luogo assai lontano, tornando a condurre una vita rispettabile con una nuova famiglia, ma non senza che il pensiero per la prima moglie lo continui ad assillare.
Tornato dopo anni nella casa abbandonata, ritrova la moglie ancora giovane e bella con la sua folta chioma nera, che lo accoglie amorevole, come se nulla fosse successo. Tuttavia durante la notte, trascorsa assieme alla prima sposa, l'uomo scoprirà di avere a che fare con un fantasma, e da quel momento la situazione gli crollerà - anche letteralmente - addosso, facendolo ritrovare superstite ma invecchiato e debole, alla stregua di un uomo pronto a lasciare definitivamente il suo percorso terreno.
Ne "La donna della neve", due boscaioli affrontano una improvvisa tormenta di neve, dalla quale riescono a scampare grazie ad un capanno che offre loro rifugio. Nel sonno l'uomo più giovane si accorge della presenza della mitologica "donna della neve", che si appropria della vita del suo compagno più anziano, ma risparmia la sua a patto che l'uomo non riveli ad alcuno di averla scorta.
Tornato a casa sano e salvo. il ragazzo tace dell'accaduto, e più in seguito si sposa con una giovane straniera incontrata per caso. Quando però, trascorsi almeno dieci anni da quella disavventura nella tempesta, l'uomo si convince a raccontare alla miglie l'accaduto, trovandola peraltro sempre più somigliante a quella donna, l'uomo capirà che quella che ha sposato altri non è se non l stessa mitologica figura di donna. A questo punto l'uomo dovrebbe morire, la la creatura, commossa per l'amore che l'uomo le ha dedicato in quegli anni, lo risparmia nuovamente, scomparendo tuttavia per sempre da lui e dai figli che insieme costoro hanno messo al mondo.
"La storia di Hoichi Senzaorecchie" è, per complessità e durata, quasi un lungometraggio a se stante ed il fulcro centrale dell'opera.
Si racconta del talento di un ragazzo cieco, Hoichi appunto, che allieta tutta la comunità con le sue melodie incentrate a far rivivere le antiche e mitologiche avventure navali degli antenati del luogo.
L'armonia che la musica del ragazzo sprigiona è tale che i fantasmi di coloro che persero la vita nella battaglie navali raccontate, si materializzano per cercare di portarselo con sé affinché il ragazzo continui ad allietare le loro esistenze da esseri impalpabili. Per scongiurare questa evenienza, gli antichi maestri del villaggio appongono scritte su tutto il corpo del ragazzo, con versi atti ad allontanare quegli spettri, Ma dimenticano di scrivere sulle orecchie del ragazzo, che pertanto viene scorto fino a che un fantasma finisce per strappargliele, senza tuttavia riuscire a rapirlo. A quel punto la storia di Hoichi diventerà così nota che il ragazzo, sopravvissuto a quella amputazione, continuerà ad allietare gli esseri umani, che accorreranno altresì dai villaggi più disparati.
Infine ne "In una tazza di tè". uno scrittore di inizi Novecento si accinge a scrivere un racconto in cui un abile guerriero inizia ad essere perseguitato da un fantasma che gli appare nel riflesso di una ciotola d'acqua che egli si appresta a bere. Fagocitato quel fantasma con la bevuta, l'uomo è perseguitato dalla visione del fantasma, che riesce pure a ferire con un fendente a sorpresa, che allontana finalmente quella presenza maligna.
A soccorrere il fantasma ferito, tuttavia, accorrono tre suoi aiutanti, che impegnano il samurai in una lotta senza tregua, in cui i tre paiono soccombere, ma invano, dato che, in quanto spiriti, non possono morire.
Il racconto parrebbe finito li, non fosse che lo scrittore non si sente convinto di quel finale debole e, scosso dalle grida della sua serva, si accorge che, in fondo alla giara dell'acqua che conserva nel giardino, gli appare ora la figura ghignante dello stesso samurai protagonista del suo racconto.
Al di là delle singole storie, che ci catapultano in un mondo ibrido tra contesto storico minuzioso e particolari fantastici assai suggestivi, il gran film di Masaki Kobayashi, Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes nel 1965, si rivela un gioiello di inventiva scenica e di mirabolante tecnica fotografica, forte dei suoi ancor oggi sorprendenti effetti cromatici, del suo rosso intenso e sanguigno, degli effetti tutt'altro che digitali che rendono il film ancora un prodotto all'avanguardia e minuzioso nel dettaglio delle sue splendide scenografie mozzafiato.
Una perfezione di fattura che abbaglia e lascia senza parole ancora oggi, in epoca di visioni smaliziate ed occhio sempre più incontentabile a causa di un progresso delle tecniche digitali ormai sbalorditivo, ed allora, in pieni anni '60, completamente impensabile.
Kwaidan (da noi noto anche come Storie di fantasmi) tuttavia non appare datato ma ancor oggi un film fuori del suo tempo, anticipatore di tecniche ma soprattutto di risultati visivi eccezionali, e che, nonostante ciò, non si dimentica del suo tema di base, riuscendo anche nella magnificenza coreografica delle sue scene sontuose, a provocare quel pertinente senso di inquietudine che l'argomento posto alla base delle vicende, alimenta e provoca nello spettatore.
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