Regia di Masaki Kobayashi vedi scheda film
Capelli neri
Il fantasma è l’immaginazione che rimane viva quando tutto il resto è morto. La casa di Kyoto è come un teatro abbandonato, che si impolvera e decade se non c’è la presenza delle passioni umane a mantenerlo in vita. Al tempo stesso, è una metafora della coscienza, inaridita dall’egoismo e mortificata dal rimorso, per la quale l’irreversibilità del tempo è come una ventata gelida e sferzante, che strappa via la bellezza e la gioventù. La maschera del mondo senza amore è coperta di una grigia pelle di cadavere; il corpo del samurai si sfalda e torna alla terra, di fronte allo spettacolo del male che ha causato. Resta viva solo la chioma corvina della donna che egli ha amato e poi abbandonato: un mostro nero e serpeggiante che lo prende alla gola, come l’ossessione strisciante e strangolatrice dell’angoscia.
La donna della neve
Fantasma è dunque anche la coscienza, un’entità impalpabile che è controllore e giudice della nostra fedeltà alla parola data. La violazione di una promessa fatta in cambio della vita è una leggerezza in cui l’ingratitudine si somma al tradimento. Per Minokichi, la giusta punizione, inflittagli dalla “donna della neve”, è la condanna ad essere per sempre marito e padre nella solitudine, privato dell’amore coniugale, e costretto a farsi interamente carico del gravoso impegno di crescere tre figli.
Hoichi-senza-orecchie
Se fantasma è il valore del passato che non va dimenticato, fantasma è allora anche la leggenda, con il suo carattere un po’ ingenuo, che dipinge, con tratti semplici e colori accesi, le mitiche storie di eroi uccisi in battaglia o immolatisi per una causa nobile. I templi sarebbero luoghi desolati, se non fossero abitati dalle anime dei morti e degli dèi, in cui è racchiuso il mistero delle nostre origini, e quindi il senso del nostro esistere. Il monaco cieco, che obbedisce agli ordini di uno spettro, ci rammenta che ogni fede o credenza è cecità, e nulla ci domina con maggiore forza di ciò che non vediamo. D’altronde è il ricordo che sopravvive oltre la morte a spingerci verso la trascendenza, ossia verso quella dimensione in cui c’è luce anche nel buio, e che anche nell’assenza e nella perdita ci fa sentire amati ed assistiti.
In una tazza di tè
La conclusione è che i fantasmi sono reali, perché, pur rifiutando l’idea di un aldilà, li si può comunque assimilare alle ombre dei frammenti di vita conservati nella mente. Fantasma dei fantasmi è invece la traccia evanescente di ciò che non si è potuto salvare dall’oblio: è la memoria negata, ciò che è stato pensato ma non scritto, come il finale di un racconto che, per un motivo ignoto, è rimasto incompiuto. La sua essenza rimane, in eterno, inarrivabile e nascosta, come uno spirito ingoiato dal suo autore, che muore insieme col suo corpo, e finisce disperso nelle acque.
In questi quattro storie di fantasmi, l’elemento fantastico è portatore di inquietudine, ed è ad esso che Kobayashi affida il ruolo di ribelle rispetto agli schemi preordinati. Lo spettro è l’essere che reca lo scompiglio in un mondo fermo nella tradizione ed irrigidito nelle regole, insinuando dubbi e creando ossessioni. L’uomo è tutt’uno con la calma e sobria geometria del suo ambiente fino a che non arriva l’elemento anomalo a scardinarne le certezze ed a sconvolgerne la rituale compostezza. La poesia orientale è pura estetica fintanto che è un raffinato studio di equilibrio ed eleganza; tuttavia, solo nell’impeto dell’horror si colma di emozioni laceranti. La furiosa lotta dell’uomo con l’incontrollabile parto della propria fantasia percorre il vertiginoso dislivello tra l’empireo e gli inferi, e per questo è un dramma dotato di profondità morale e spessore letterario. A vivere, sul grande schermo, è ancora un volta la tenebra di una nuova libertà, che, camminando verso il futuro, smuove le muscose zolle di un terreno rimasto per millenni senza sole.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta