Regia di Lisa Cholodenko vedi scheda film
Le famiglie non convenzionali di non convenzionale non hanno nulla. Perché i problemi di una qualsiasi famiglia sono universali, a prescindere dal numero delle madri o dei padri che la compongono. Se vi è o meno la presenza di un sesso o dell’altro. Si nasce così, ci si sceglie così, per quello che si è, e non c’è storia che possa far cambiare idea. L’omosessualità non è una malattia, “che viene e va”. Sembra esserne cosciente, sebbene fino ad un certo punto, anche la regista Lisa Cholodenko, che dopo il dramma Laurel Canyon-Dritto in fondo al cuore (2002), si cimenta con una storia desueta, sebbene abbia lo stesso difetto di tanti film sull’omosessualità: la tentazione degli omosessuali, al maschile o al femminile, di provare, in qualche modo e comunque, desiderio per l’altro sesso, come una sorta di ‘prova ai meloni’. Tutto ciò, però, sembra essere vero solo nei film. E questo lo sanno tutti. Ma il cinema ama descriverli così e sempre allo stesso modo (Ozpeteck imperat!), non alla maniera, per esempio di Almodovar, Pasolini, ecc. Scomodamente reali.
Infatti, fra la coppia lesbo e sposata, costituita da Nic e Jules, quando si insinua l’unico donatore anonimo di seme, che ha permesso ad entrambe le donne di concepire gli amatissimi figli Laser e Joni, ben presto, una delle due donne avrà continue tentazioni di cedere all’eterosessualità ch’è in lei, facendo sminuire la storia del film per quell’unica importanza che poteva avere: finalmente, un racconto gay al femminile. Ma non avviene così, mentre veniamo a conoscenza di Nic, un’ostetrica e Jules che sta ancora cercando la sua strada dopo una laurea in architettura e un paio di attività non andate a buon fine. All’insaputa delle due, Laser, figlio non ancora maggiorenne, chiede alla sorella di contattare la banca del seme per scoprire l’identità del loro padre biologico. Così Joni accontenterà il fratello e i due incontreranno Paul, soddisfatto di poterli conoscere. Paul è un tipo attraente, non si è mai sposato, ha un ristorante e una coltivazione biologica. Subito si affeziona ai due ragazzi, che troveranno in lui l’amico e il padre. Se mamma Jules accetterà da subito il nuovo membro della famiglia, Nic lo percepirà invece come un corpo estraneo e avvertirà in lui un possibile pericolo per i delicati equilibri conquistati e consolidati con tanta fatica. Proprio quando deciderà di accogliere Paul e dargli una possibilità, i problemi che aveva percepito e le sue paure si materializzeranno.
E’ evidente che la regia della Cholodenko è molto carica ancora di tanta tv, di cui la regista è stata un’importante esperta. Non male, invece, la sceneggiatura del film, brillanti ed intelligenti molti dialoghi, ma si tratta della brillantezza di una scrittura di molta buona tv americana, che con le serie tv di ultima generazione ha dimostrato di non aver nulla da invidiare al grande schermo.
I ragazzi stanno bene ha vinto un Golden Globe come comedy dell’anno ed è stato candidato a quattro premi Oscar, tra cui miglior film, miglior attrice protagonista (Annette Bening) e miglior attore non protagonista (Mark Ruffalo). La Bening ha inoltre vinto un Golden Globe come miglior attrice comedy. In realtà, tutte le interpretazioni, di attori e attrici nel film, sono eccellenti.
Semmai, la Cholodenko ha l’eccessiva preoccupazione di normalizzare. Ed eccoci nel solito errore di mistificare la diversità. Che pure esiste. Ed è consistente. Il più delle volte non ammette vie di mezzo o tentazioni. Altrimenti, si tratta d’altro…
Giancarlo Visitilli
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