Regia di Sébastien Lifshitz vedi scheda film
Sotto la sua espressione umbratile è radicato un trauma, che lo lacera, lo ammutolisce. Riguarda la morte del padre, la follia della madre. E una lettera di questa, che smuove la terra del passato. L’intento di Samuel è laconico, sa di western mai dimenticati, il suo diminutivo, Sam, significa America, come la sua auto. E nel cruscotto, insieme alle sigarette, c’è una rivoltella, con le sue pallottole, la sua storia. Ma Plein Sud. Andando a Sud non narra solo di Sam: accanto, stretti sui sedili della Ford, ci sono Léa e suo fratello Mathieu, c’è Jérémie. Gioventù fragile e burbanzosa, linguaggio triviale, desideri bassoventrali. Personaggi da teen movie, che non si conoscono, ma condividono un frammento del viaggio e lasciano traccia di sé su quella strada, su quella vita, sui fotogrammi. È un’operazione ambiziosa, questa di Lifshitz (Quasi niente, Wild Side), che fonde i feticci del cinema americano con il paesaggio, umano e non, francese, in un road movie che è ovviamente percorso esistenziale, ma tutt’altro che lineare: parte nel ventre di Léa e da un frutto che non sa se lasciare maturare, s’inabissa nel viaggio edipico di Sam, brulica di ellissi, ricordi e digressioni, si smarrisce negli sguardi, scruta i corpi e li abbandona, sceglie una strada maestra, non si conclude. Ma raggiunge il suo scopo ultimo: liberare i personaggi dagli stereotipi di cui, in principio, erano vestiti.
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