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Kosmos

Regia di Reha Erdem vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Kosmos

di yume
10 stelle

Una sensazione di straniamento percorre tutto il film, un senso di profondo smarrimento si respira in ogni scena mentre la neve cade, ininterrotta, a coprire di tristezza e silenzio un mondo senza felicità.

“Tre membri (Efrim: chitarra, piano, voce; Thierry: contrabasso; Sophie: violino)…E' un sound atipico, quello dei Silver Mt. Zion. Folk e musica tzigana, chamber-rock e post-rock che si incrociano in una combinazione di straordinaria intensità emotiva. Lunghe suite sfiorano la catarsi spirituale proponendo canti lacerati, impetuose frustate passionali, vorticosi climax, austerità classica.

Il primo album, pubblicato nel 2000 per la Constellation, dal chilometrico titolo He Has Left Us Alone, But Shafts Of Light Sometimes Grace The Corner Of Our Rooms, ripercorre le vie del tempo che scorre. Si aprono le rotte dell'eternità di fronte a strazianti suite dal mood intimista e apocalittico. E se "Sit In The Middle Of Three Galloping Dogs" dipinge un vortice dal quale impossibile pare la fuga, i violini e le viole di "Stumble Then Rise On Some Awkward Morning", in un gioco di continue sovrapposizioni, scavano con ritmo nelle zone più remote dell'animo.

I giochi intimisti dei Silver Mt. Zion toccano le corde del cuore e commuovono. Proprio come l'eterea e delicata melodia del capolavoro "13 Angels Standing Guard 'Round The Side Of Your Bed", che abbraccia lo spirito, lo eleva, lo scuote. Una veglia lunga una notte cinge la supplica lamentosa. Lacrime. Le spettrali trame sonore, che si tingono di sfumature medievali in "Blown-out Joy From Heaven's Mercied Hole", introducono alla conclusiva "For Wanda". Il violino abbozza voli pindarici che periscono in un mare di lacrime distillate. Non c'è che dire: un gioiello.”(da Onda rock, Silver Mt. Zion, Le cime tempestose del post-rock,di Alberto Asquini).

Necessario cominciare da qui per parlare di questo film, dalle straordinarie sonorità che accompagnano una fotografia superlativa e circondano di un alone magico, folle, catartico, Kosmos, il misterioso personaggio venuto dal nulla, caduto dagli spazi siderali nella neve di un villaggio di frontiera della montagna turca, dove arriva correndo, sembra una fuga, piange, ansima, ma nessuno lo insegue, corre sul greto del fiume, entra in acqua e afferra il corpo di un bimbo che la corrente gelida sta portando via, salvandolo in extremis.

Un giorno Kosmos sparirà correndo, ancora, lungo la stessa pianura bianca a perdita d’occhio, sarà un puntino sempre più piccolo in lontananza, la macchina salirà lentamente a riprendere un cielo immenso, dai bagliori di metallo argentato dove campeggia una luna bianchissima, immobile, circondata dalle costellazioni brillanti, mentre la musica dei Silver Mt.Zion rende tutto reale e irreale in questa favola di una condizione umana sfiorata per un attimo da una presenza metafisica, che altera equilibri antichi, scatena contraddizioni ed è contraddizione essa stessa, nel contatto con gli  uomini e le loro logiche l’innocenza di Kosmos  non ha cittadinanza, alchimie perverse trasformano in morte il suo messaggio di vita e di amore.

La piccola comunità di montanari poveri, spesso malati e infelici, lo accoglie dapprima con generosità, le sue capacità taumaturgiche risvegliano speranze, ma Kosmos non è un santo né un profeta, è solo amore puro che non conosce i limiti che l’uomo s’impone, e dunque diventa un corpo estraneo, da espellere.

Kosmos ruba per dare a chi ha bisogno, fa discorsi che suonano incomprensibili, si muove privo di gravità perché la sua unica forza di gravità, dice, è l’amore, ma Kosmos è il diverso, colui che si guarda perplessi, si accoglie perché può dare, ma poi si espelle perché non si può capire.

Solo Neptun, il nome che si dà per lui la ragazza del fiume, sorella del bambino salvato, entra in sintonia con la sua dimensione, la loro è una ricerca continua l’uno dell’altra, fatta di corse nella neve, un dialogo che usa il linguaggio degli uccelli, nessun contatto fisico, solo sguardi, silenzi  e canto, e poi gli immensi sorrisi di Kosmos che illuminano la scena come una luce, mentre il buio scende al suo urlo lacerante che vede morte dove voleva ci fosse vita e felicità.

E dunque dovrà fuggire, di nuovo, passando da quella porta che Neptun apre per lui, verso quella pianura innevata fino all’orizzonte lontanissimo, e solo allora capiremo da dove veniva, da chi fuggiva all’inizio del film, fuggiva dagli uomini.

Opera recente (2009) della già lunga carriera di Reha Erdem (nel 1989 con A Ay vinse il premio dell’Associazione degli Scrittori turchi per il miglior film dell’anno) il più importante regista turco contemporaneo, riconosciuto anche all’estero con partecipazioni importanti (Berlinale, Torino, Roma) e nomination all’Oscar, Kosmos è un’opera di grande bellezza in tutte le sue componenti, contiene un messaggio forte che l’autore affida ad uno script  che ha la suggestione delle antiche scritture sapienziali e, soprattutto, alla presenza impetuosa di Saygin Soysal, un angelo disperato, luminoso, troppo umano e costretto alla fuga.

Frequenti intermezzi di crudo realismo a forte carica simbolica sono le scene girate nel mattatoio, il contrasto col gelido candore esterno accentua la sensazione di straniamento che percorre tutto il film, un  senso di profondo smarrimento si respira in ogni scena mentre la neve cade, ininterrotta, a coprire di tristezza e silenzio un mondo senza felicità.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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