Regia di Daniele Ciprì, Franco Maresco vedi scheda film
Nove minuti e mezzo di nonsense e squallore in compagnia dei personaggi di Ciprì e Maresco.
Si comincia con l'inquadratura, fissa e in un bianco e nero spettrale, di un malmesso cantante melodico-napoletano che si esibisce in perfetta solitudine in uno scenario postapocalittico; seguono quindi un paio di minuti di Rocco Cane, un barbone in mutande, fisso in piedi in un deserto, in silenzio; due loschi personaggi che dialogano con il pensiero, ma le loro voci sono rese incomprensibili dalla forte eco metallica e per di più i due parlano in siciliano stretto; un ciclista nel deserto già visto qualche istante prima; una specie di santo vivente con un occhio solo e l'altro, di vetro, in mano. Che dire di questo Il manocchio? E' il mondo di Ciprì e Maresco, anti-intellettuali cinematografici per scelta, ma spesso e volentieri (come in questo caso) molto più profondi e incisivi di tanti prodotti 'autoriali'. Oltre a Marcello Miranda e a Francesco Tirone, fra i personaggi più presenti nei lavori della coppia di registi siculi, nel finale di questo corto compare anche un'anticipazione di Totò che visse due volte, il prossimo film di C&M: San Polifemo. Trovare un senso logico in tutto ciò è non solo impossibile, ma soprattutto inutile; quanto rimane della gran parte della produzione in cortometraggio di C&M sono le atmosfere spettrali, le luci malate e i protagonisti moralmente ributtanti ed esteticamente discutibili che sostanzialmente costituiscono la loro forza, il loro personalissimo spirito e quanto di più originale sia stato partorito dalla cinematografia italiana dagli anni '90 al nuovo secolo. 6/10.
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