Regia di Carlos Sorin vedi scheda film
Ci sono storie che sono solo epiloghi. Lunghi, sofferti, ma anche carichi di una estrema, luminosissima concentrazione di gioia. Antonio Romero decide di respirare con tutta l’anima gli ultimi attimi della propria vita. Non andando a cercare il senso finale in qualche posto lontano, bensì godendo delle solite cose di casa sua, quelle modeste, ma preziosissime, che gli può offrire la sua tenuta di campagna, isolata in mezzo alle praterie della Patagonia. Antonio, che ha passato l’ottantina ed ha da poco avuto un attacco di cuore, vive da solo, insieme a due donne di servizio ed un custode, in quella abitazione elegante, ma vuota, dalla quale il figlio, un pianista di fama mondiale, manca ormai da molti anni. È aspettando il suo ritorno che l’uomo, nel giorno previsto per il suo arrivo, conosce un improvviso guizzo vitale, un desiderio di abbandonare il letto, dimenticare le sue precarie condizioni di salute, per riappropriarsi di quel mondo che è stato sempre, orgogliosamente, suo. Attraverso la finestra della sua stanza, vede i campi illuminati dal sole, e non resiste alla tentazione di uscire per attraversarli a piedi. La prospettiva di rivedere il figlio gli ha come spalancato l’anima, riportandolo indietro nel tempo, tanto da far riapparire, nella sua mente, immagini antiche che credeva per sempre perdute, come il volto della giovane governante a cui era stato affidato da bambino. La finestra – quella reale della sua camera e quella virtuale del pensiero – è il ritaglio di visione che gli porge un temporaneo accesso a ciò da cui è stato separato dallo scorrere degli anni: i ricordi d’infanzia, il suo universo di uomo adulto. La sua attività di scrittore continua a fargli scoprire la realtà attraverso la speculazione filosofica, ma egli ha voglia di toccarla con mano, di sentirla aderire al proprio corpo, di percepirla come il tutto del quale la sua persona fa parte in quanto essere della natura. L’impossibilità di recuperare lo svantaggio che la sua malattia gli ha procurato è resa evidente dalla sua debolezza fisica, che durante la sua passeggiata lo fa cadere a terra, e dal contrasto tra la sua figura inerte, stesa al suolo in stato di semi-incoscienza, ed i ragazzi in bicicletta che accorrono per assisterlo. In mezzo a quel turbinio di freschezza, di calore primaverile, di bellezza e di colori, il suo tempo procede con un ritmo lento ed incerto, come una successione sgranata di istanti. Le sue emozioni sono ridotte a uno stillicidio di singole, flebili suggestioni, staccate dal contesto perché fasciate una ad una nel buio involucro dell’oblio, che vede e poi subito cancella. Il presente è una nebbiolina che, goccia dopo goccia, sfuma, lasciando che il passato torni prepotentemente in primo piano. Carlos Sorin ci accompagna in questo congedo dal mondo, realizzando una progressiva messa a fuoco del distacco tra l’uomo, sempre più impedito nei movimenti ed ancorato alle sue remote memorie, e il mondo di oggi, in cui ci si preoccupa dell’assenza di segnale per il telefonino, e un soldatino di piombo è un anacronistico dettaglio, che l’accordatore si stupisce di trovare tra le corde di un vecchio pianoforte. Prima che Antonio intraprenda il suo sconsiderato tentativo di fuga, l’incombenza della fine è già presente, nei dubbi espressi dal medico che l’ha visitato, e soprattutto nei vecchi oggetti che, per varie ragioni, riemergono in vista della visita del figlio: un inquietante quadro astratto coperto da un telo, un libro di Jorge Luis Borges con la sua dedica autografa, una bottiglia di champagne conservata in cantina per quarant’anni. Successivamente, l’ombra dell’addio raggiunge lo stesso Antonio, lo ghermisce come un uccello rapace, annientando i suoi sogni di rinascita. L’evoluzione avviene nell’arco di poche ore, dall'alba al tramonto, con la classica metafora del giorno che riassume l’arco dell’intera esistenza. Il processo segue la rigorosa scia della necessità, che è indifferente ai desideri individuali, all’importanza che Antonio riversa in quel momento tanto atteso, alla forza di volontà con cui crede di poter sfidare un destino già scritto. Non c’è una battaglia, ma solo il realizzarsi di un’inevitabile sconfitta, senza melodrammi né colpi di scena: La ventana si svolge in un teatro reale e comune, nel solito quadro della vita che ci fa alzare al mattino e coricare la sera, e che tutti sappiamo bene com'è fatta.
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