Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Al centro di uno dei film più inquietanti degli ultimi venti o trent’anni c’è un libro, una autobiografia da realizzare ad hoc per risollevare le sorti di un ex premier decaduto. A scriverla c’è uno smarrito e stropicciato Ewan McGregor (senza nome, quasi a collocarlo in una dimensione altra in cui i personaggi si definiscono attraverso quel che fanno e non per quel che sono: perfetto), che, povero lui, si ritrova in una spy story internazionale in cui deve sfuggire a verità inconfessabili, tentativi di farlo fuori, menzogne conclamate, sabotaggi continui, doppi giochi incessanti e chi più ne ha più ne metta. L’uomo sbagliato nel posto sbagliato al momento sbagliato, come nella miglior tradizione del maestro Hitch.
Col passo teso e rapido del miglior thriller possibile, L’uomo nell’ombra vive all’ombra delle ombre stesse: non è un caso che non si veda nemmeno per un momento il riverbero di un raggio di sole. Dominato da paesaggi naturali desolanti e freddi (l’isola), nonché da un interno (il palazzo in cui si è ritirato l’entourage dell’ex premier, quartier generale e vera trincea) claustrofobico e gelido ed altri luoghi (case private, motel, navi, strade) tutt’altro che accoglienti, questo minaccioso e ansiogeno giallo coinvolge e appassiona grazie allo splendido equilibrio che l’esperto Polanski raggiunge, mantenendosi costantemente sul registro del capolavoro.
Non è esagerato parlare di capolavoro per ragioni ben precise: robustezza dell’opera (che risponde a tutte le regole del genere con cui si identifica), stile secco e senza orpelli (zero virtuosismi, zero autocompiacimenti, zero frivolezze), storia avvincente che fa scorrere non pochi brividi (c’è dietro il best seller di Robert Harris), allusioni saporitissime (non è un mistero che dietro Adam Lang ci sia il prima amato e poi vituperato Tony Blair) e critiche sottili non scontate (il Labour Party non ci esce granché bene), contributi tecnici infallibili (le musiche di Alexandre Desplat, la fotografia di Pawel Edelman) attori in stato di grazia che non strafanno mai (Pierce Brosnan e Kim Cattrall rigenerati, Tom Wilkinson sinistro, Olivia Williams memorabile).
E in più, e forse è questo il suo merito più evidente, riesce ad essere uno dei pochi film realmente classici dei nostri giorni: un classico è un qualcosa che avrà sempre qualcosa da dire. Il film di Polanski, forte delle sue caratteristiche intrinseche che sono anche pregi, avrà sempre qualche cosa da dire. Anche se dopo quel finale devastante come un pugno nelle stomaco, si preferisce tacere. Un altro film sul potere che si autoafferma attraverso la sua manifestazione più negativa, estremamente tenebrosa per essere illuminata da quel sole di cui non si sente nemmeno la mancanza, tanto è il marcio in cui si naviga, per l’alto mare aperto.
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