Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Anche se fuorviante (rispetto all’originale e più attinente The Ghost Writer), il titolo italiano ben definisce l’atteggiamento registico di Polanski, uno degli ultimi autori dall’atmosfera riconoscibile ma dallo stile vellutato, adeguato al racconto. Plot hitchcockiano (l’uomo qualunque alle prese con un mistero esorbitante), trama thriller con andamento kafkiano che miscela umorismo e angoscia, sono i tratti distintivi di un percorso d’autore che rimane inalterato pur nella variabilità dell’impianto produttivo (di modello hollywoodiano) e che contraddistingue la cifra stilistica di Polanski. Il sarcasmo misantropo dell’autore si applica con gelido garbo alla realpolitik anglo-americana, con debiti letterari alle atmosfere di Le Carré, regalando un film dominato dalla simmetria delle inquadrature e dalla struttura a combinazione della sceneggiatura, un perfezionismo tecnico che rinchiude protagonista e spettatore in un percorso obbligato, morbido e morboso.
Polanski, come sempre, non sembra credere alla trama che enuncia, pur raccontandola nel miglior modo possibile, e lascia sempre la scappatoia dell’ironia e del sarcasmo a far detonare da lontano le fondamenta stesse del film per permettergli di implodere senza danno. Tutto appare di una così lampante semplicità da lasciare scettici sulla capacità di giudizio dei personaggi, del protagonista, dedito ad una caccia al tesoro di informazioni facilmente reperibili, dell’ambiente che lo circonda, che non si cura di nascondere tracce vistose, del mondo, perennemente e drammaticamente distratto.
Niente è come sembra perché tutto è davvero come appare, e nel gioco degli specchi si riflette l’angoscia dolorosa di vedere la politica, nel significato generico di interesse personale (amplificabile poi a livello nazionale, economico, geopolitico), vanificare ogni accesso alla verità, contando sull’altrui assenza. Il mondo procede fuori campo, come nella sequenza finale, senza inquadrare l’essenza di un senso faticoso da trovare e ancor più da intendere. Nel trionfo dell’ignavia si suggella, sarcasticamente, la rassegnata misantropia di un regista disilluso che, imperterrito, si diverte a raccontare l’inutilità di ogni sforzo.
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