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L'uomo nell'ombra

Regia di Roman Polanski vedi scheda film

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Charlus Jackson

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La recensione su L'uomo nell'ombra

di Charlus Jackson
8 stelle

Si ha sempre l’impressione che con la vecchiaia aumenti la saggezza ma decresca l’energia, parlando da un punto di vista cinematografico a Polanski accade il medesimo processo ma gli riesce d'armonizzarlo: a quasi 80 anni dirige un film meno visionario dei suoi passati ma formalmente impeccabile, capace di creare atmosfera e coinvolgimento avventuroso, e dai contenuti, ovviamente, importanti dissimulati sotto la trama spionistica. Basta dare un’occhiata all’internazionale imdb per scoprire topic spropositatamente lunghi che cercano di identificare questo o quel personaggio con uomini politici reali e addirittura una “teoria del complotto” secondo cui Polanski sarebbe stato arrestato proprio nel 2009, finito di girare il film, per un crimine commesso 30 anni prima (ricordo che non si tratta di uno stupro ma di consenziente rapporto e consumo di sostanze con una minore alla quale, per sua ammissione, non fregava assolutamente nulla) come vendetta dei servizi segreti contro “chi sapeva (o rivelava) troppo”. Con ogni probabilità si tratta di fantapolitica ma ci fa pensare a come neanche gli “angloamericani” si sentano messi male quanto a “governi loschi dalle trame oscure”, benché ci sia l’abitudine di considerarci vittime di una delle politiche più oscurantiste d’Europa - pur deprecabilissima. Tornando al film in realtà Polanski non è che faccia molta politica (il discorso dell’ex presidente nell’aereo privato, “io ho cercato di attuare tutti i mezzi possibili per garantire la sicurezza, vorrei che negli aeroporti ci fossero due tipi di aerei, uno per i quali le informazioni per la sicurezza sono state raccolte rispettando i diritti umani, l’altro per la sicurezza dei quali si è fatto tutto il possibile, vorrei vedere lei dove manderebbe i suoi figli”, sembra voler mantenere una pluralità su tutti i possibili punti di vista), quello che gli interessa sono, come gli succede spesso, le atmosfere neo-noir, il fascino mortale della femme fatale, gli ambienti che un po’ oniricamente ricreano luoghi dell’anima (meravigliosa la villa isolata del presidente, sperduta in mezzo a oceano, sabbie e cieli nuvolosi, lussuosa ma fredda con il suo arredamento hi-tech e i pochi intimi ammessi, tutt’altro che accoglienti: l’aridità della vita dell’uomo politico in fuga dalle grandi masse di cui per forza scontenterà ferocemente la maggior parte – come racconta il personaggio di Brosnan, diventa talmente alienato dal quotidiano che non può più girare da solo, non maneggia più il contante). Per il resto, a quanto leggo, rimane abbastanza fedele al romanzo da cui è tratto, a parte il finale assurdo: nel libro il protagonista raccontava in prima persona e concludeva il romanzo dicendo che ormai si sentiva condannato per ciò che sapeva, o comunque era incerto sul suo destino, e voleva prima svelare al mondo ciò che aveva scoperto; nel film, beh non si può dire, ma comunque l’ho trovato ridicolo sia come scoperta (“uh non era chi pensavo ma X”) sia per come in quattro e quattr’otto prendono la decisione fatale.

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