Regia di Richard Berry vedi scheda film
A cinquantasette anni suonati, Charly Mattei (Jean Reno), vecchio padrino della mafia ha deciso di mettere la testa a posto: basta con il clan dei marsigliesi, troppo sangue versato; è tempo di appendere la pistola da qualche parte, magari tornare a casa, dove lo aspettano la moglie paziente Christelle (Fani Kolarova) e i due figli.
Ha fatto male i conti Charly, qualcuno lo vuole morto: sta parcheggiando l’auto nel vecchio porto di Marsiglia, quando un gruppo di uomini con il passamontagna gli ficca in corpo 22 proiettili. Il crepitio delle pallottole si mescola all’aria pucciniana E lucevan le stelle che poco prima, steccando di brutto, Charly stava canticchiando al figlioletto in auto, prima di lasciare il ragazzino alla giostra e dirigersi verso il parcheggio.
Charly è nato nella paura, ma a nulla sono servite le raccomandazioni di suo padre, caporione fatto fuori dalla mafia una quarantina di anni prima: “Il mio, è uno strano lavoro, Charly, una volta che ci sei dentro, è finita, non puoi più uscirne. È come una maledizione. Sei condannato a restarci fino alla morte. Il sangue versato non si asciuga mai. Il sangue versato non si asciuga mai, ragazzo. Hai capito? Devi vivere tutta la vita nella paura. Se abbassi la guardia, anche solo per un secondo, sei fottuto.”.
Charlie, per vendicare il padre, si legò in amicizia con Aurelio Rampoli (Richard Berry) e Tony Zacchia (Kar Merad), con loro formò un trio di moschettieri del male – uniti fino alla morte. Ma non è andata così, uno dei due ha tradito (entrambi forse) e deve pagarla.
Trasportato in ospedale, Charly lotta tra la vita e la morte, 22 pallottole sono tante, ma nessuna ha leso centri vitali: un miracolo che restituisce alla vita e alla conseguente vendetta un “immortale”.
La vendetta è un piatto che si serve freddo, Charly la prepara accuratamente: claudicante, sorreggendosi a un bastone, il braccio destro reso insensibile per la recisione dei terminali nervosi, si presenta come l’angelo sterminatore nel covo degli ex amici e, dopo averli disarmati tutti, promette loro che non li ucciderà subito ma, uno ad uno, tra un giorno, tra un mese, tra un anno.
Rispoli e Zacchia dal canto loro gli rinfacciano di essersi tirato fuori perché lui, Charly, non intendeva trafficare in coca e per nulla impauriti (sono in troppi) si preparano alla guerra: otto contro tre, già, perché il mafioso pentito può contare sull’appoggio dell’amico avvocato Martin Beaudinard (Jean-Pierre Daroussin) e della guardia del corpo Karim (Moussa Maaskri).
Il film va avanti piacevolmente (per chi ha lo stomaco forte) tra agguati notturni sotto il cielo di zaffiro marsigliese, inseguimenti e fughe lungo strade cittadine e di campagna, duelli nel cimitero in pieno giorno, colpi di scena a mitraglia, esecuzioni (non si contano i proiettili al centro della fronte) fino alla resa dei conti che, come da ‘Manuale Sergio Leone’, è diventata un calco riconoscibile da Hong Kong alla douce France.
Diretto da Richard Berry (che si ritaglia la parte di Rispoli) L’Immortel non aggiunge nulla al neo-polar né gli toglie nulla. Il mio giudizio oltre la sufficienza è viziato dalla simpatia che ispira Jean Reno (un attore forse monocorde, ma capace di un underplayment che ripaga dal vorticoso agitarsi delle star hollywoodiane – un interprete stile vintage), dall’ottima scelta di facce patibolari, dalla buona sceneggiatura che, ad una lettura frettolosa parrebbe banale, in realtà offre spunti interessanti sulla patologia criminale, per esempio la paranoia asettico-anale di Rispoli, affetto da cefalea a grappolo o il sadismo di Zecchia attratto dalle mutilazioni, senza tacere dei fiumi di droga che di nari in nari esaltano il culto del massacro come visione tanatologica del mondo.
I punti deboli del film, mi spiace dirlo, riguardano la ‘parte sana’ del mondo di Charly, l’esibizione degli affetti domestici, l’appello all’unità della famiglia, ai sacramenti cristiani, tutti elementi posticci che servono a bilanciare l’eccesso di crudeltà senza riuscirci.
La colonna sonora di Klaus Badelt è simpaticamente loffia e tonitruante, ma al compositore va dato il merito di avere scelto come musiche aggiunte arie di Giacomo Puccini (che bisognerebbe per legge impedire a Jean Reno di canticchiare!): E lucevan le stelle (Luciano Pavarotti, dir. Nicola Rescigno), O soave fanciulla (Giuseppe Di Stefano, dir. Antonino Viotto), Un bel dì vedremo (Maria Callas, dir. Herbert von Karajan).
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