Regia di Jordan Scott vedi scheda film
Film ‘ornamentale’, un genere non ancora classificato, ma che tassonomicamente include registi come Joe Wright, Roger Michell, la Jane Campion che con Bright Star ambisce a farne parte, Cracks è prima che un film, un’operazione di marketing famigliare. Infatti, Jordan Scott è figlia del veterano Ridley (tre decenni fa un grande regista), nipote di Tony (da tre decenni un modesto regista). I due fratelli sono produttori esecutivi di questo tentativo abortito di ricreare l’atmosfera di Picnic ad Hanging Rock.
Per ‘cinema ornamentale’, intendo un tipo di spettacolo che ha nell’esteriorità del décor, nella fotografia, nella musica un fascino epidermico cui non è appeso nulla di realmente consistente dal punto di vista meramente filmico, – solo un guscio vuoto ma maledettamente idoneo a solleticare un pubblico compiacente.
Con questo non voglio dire nulla di offensivo, ognuno si diverte come può e, a guardare bene, gli Scott non si sono fatti mancare nulla del meglio che solitamente una buona officina serve alla gentile clientela, ad eccezione dello script, tratto da un romanzo di Sheila Kohler che non brilla certo per originalità.
Anno 1934. In un college a istruzione vetusta di virtù muliebri, presidiato da vecchie bacucche protestanti, l’affascinante Miss G., interpretata dalla bellissima Eva Green, occhi sgranati verde-diamante e allure modello Erté, riesce a dirottare l’insegnamento delle allieve verso un’educazione meno cimiteriale dei versi di Shelley, inducendole a letture più vitali, a una sportività che risvegli in loro l’amore per il proprio corpo (e per quello degli altri, beninteso). Maestra di desiderio, Miss G. non esita a svegliare le fanciulle nelle notti di luna piena per fare tutte insieme, completamente nude, nuotate coreografiche ad alto tasso di lesbismo neppure tanto inconscio. Peccato che la Scott, invece che a Busby Berkeley si ispiri alle moderne riprese del nuoto sincronizzato.
L’armonia tra Miss G. e il tiaso è interrotta dall’arrivo di un’adolescente dalla Spagna, si chiama Fiamma Coronna (Maria Valverde) ed è un’aristocratica fanciulla inviata dai genitori in quel lontano college per ‘punizione’.
Fiamma, nonostante sia coetanea alle altre, è già troppo donna (‘la punizione’ allude a una vita adulta tenuta in segreto), per non indurre gelosie tra le piccole protestanti che inutilmente Miss G. spreme per avere da loro indizi di desiderio. Di fede cattolica, Fiamma ha ormai rotto il patto religioso, pagandolo al caro prezzo di un’asma che la affligge.
Fiamma non è una bambina, Fiamma è ‘l’altra femmina’ insieme a Miss G. A quest’ultima, la ragazza spagnola ha tutto da insegnare: Miss G. ha letto solo libri, i suoi racconti di viaggio e di amori esotici sono mediati dalla letteratura; Fiamma ha vissuto realmente, ha viaggiato nel mondo reale, per lei i libri sono il completamento culturale alla vita vissuta.
Questa differenza, incisa visibilmente sul volto tenero di Fiamma che ha soddisfatto il desiderio, e aggressivamente sulle movenze feline del corpo di Miss G. che anela al desiderio senza realizzarlo, sarà la causa della distruzione di ogni anelito all’emergere di una femminilità desiderante.
Jordan Scott, che ricordiamo regista del segmento Jonathan nel film collettivo All the Invisible Children del 2005, si tiene sulla corda traballante di una regia incolore, piena di sbavature e vezzi autoriali impossibili (Morte a Venezia, Picnic a Hanging Rock), ma riesce a portare a compimento un’opera difettosamente perfetta per una platea sensibile ai rimandi letterari.
Tra le interpreti, oltre alle straordinarie Eva Green e Maria Valverde è senz’altro da citare Imogen Potts (28 giorni dopo) che offre un ritratto convincente di perfida tenerezza infantile – è lei la più gelosa del gruppo di fanciulle.
Per dare una buona verniciata finale al prodotto, papà Scott ha affidato la banda sonora a Javier Navarrete (premio Oscar per Il labirinto del fauno) che compone uno score dimenticabile e la fotografia a John Mathieson (con Scott da The Gladiator in poi) che nelle location irlandesi (il film si svolge in Inghilterra) non trova di meglio che soffermarsi su prati in fiori, ultima risorsa, in chiave classicistico-simbolica, per un film che vorrebbe raccontare il desiderio mentre lo nega.
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