Regia di Geoffrey Wright vedi scheda film
“La vita non è che un’ombra che cammina, un povero attore che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena e del quale poi non si ode più nulla…”
La vita e il passare del tempo paragonati negli immortali versi del Bardo alla durata di una performance teatrale. Concluso il suo monologo l’attore (Macbeth) si congeda e il sipario si chiude.
La tragedia dell’ambizione, la più cupa, violenta e visionaria, viene trasposta in versione contemporanea in terra aussie.
Le fredde brume scozzesi assediano e coprono una Melbourne notturna, dominata da spietati gangster.
L’intrigante adattamento (le streghe viste come adolescenti provocanti e leziose; il loro incontro con lo stranito Macbeth ambientato nella pista di una discoteca deserta immersa nella nebbia artificiale; la rivelazione delle 3 profezie durante una scena onirica, allucinata e lisergica), scritto da una mano femminile, mantiene i dialoghi originali del testo shakespeariano, creando un contrasto affascinante (come in Romeo + Giulietta) fra le battute in pentametri giambici e l’ambientazione moderna.
Lo stile è volutamente sopra le righe, (esteticamente) barocco, pulp, sospeso tra l’eccesso chiassoso del kitsch e l’ombra livida di un noir angoscioso, reso ancora più claustrofobico dalla recitazione grave degli attori.
Abbigliato con velluti stampati di cattivo gusto e ricoperto di chincaglierie di vario genere, ostentate con orgoglio, oscilla in bilico tra frenesia e torpore, esitazione e urgenza d’agire, rabbia e vago senso di colpa, paura e follia. Il suo Macbeth fragile e forte, che trasuda tragedia e sconfitta fin dalla prima inquadratura, suscita compassione (nonostante i crimini commessi).
Merita un applauso per aver scritto un bellissimo adattamento, interessante ed originale nel proporre soluzioni inedite e particolari. Intensa anche come attrice, nei panni cruenti (e crudeli) dell’istigatrice Lady Macbeth.
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