Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film
Protagonista del cinema di Svankmajer è l’oggetto, che, con la sua capacità di sorprenderci, è l’ospite inatteso della nostra vita; è l’occasione incontrata lungo il cammino, l’intruso nella nostra casa, o il chiodo fisso nella nostra mente, e, in ogni caso, è in grado di segnare una svolta e di condizionarci nelle scelte. Prendendolo in mano ed usandolo noi facciamo ciò che esso ci suggerisce di fare, e, inseguendolo, andiamo dove esso ci indica di andare. Questa è la schiavitù dell’idolatria, del feticismo, della magia nera, in cui sono le cose a dettare legge, attraverso richiami sinistri e misteriose formule. E' la deificazione del visibile e del concreto che si sostituisce alla fede religiosa nel trascendente; è, come nelle parole del diavolo faustiano, la pratica dell’alchimia contrapposta allo studio della teologia. Tuttavia, in un mondo dominato dall’incantesimo, la razionalità diventa inefficace e l’uomo perde così la propria centralità, diventando schiavo di entità tanto più grandi di lui e rimanendo, comunque, confinato nella sua limitata capacità di comprendere. Le marionette a cui Svankmajer affida il compito di interpretare i punti salienti del dramma di Goethe sono gli agenti passivi di un sistema cosmico governato dalla rivalità tra paradiso e inferno, tra angeli e demoni, tra Dio e Mefistofele. La loro rigidità nelle movenze e nell’aspetto riproduce lo schematismo delle regole che li comandano, improntate, senza sfumature, al bene o al male assoluto. In mezzo sta la figura di Faust, fatta di carne e dubbi, di tentazioni e ripensamenti. La sua debolezza è il desiderio, che, però è, nel contempo, anche la manifestazione del suo punto di forza; essa, infatti, rivela l’esistenza in lui della volontà, ossia di quella facoltà che consente all’uomo di scegliere, di sbagliare e di cambiare idea, divenendo così artefice del proprio destino, tanto da poter decidere per proprio conto se andare incontro alla salvezza o alla dannazione.
Il teatro, in cui si svolge buona parte dell’azione, rappresenta la finitezza dello spazio e del tempo che ci sono riservati, ma dentro cui possiamo comunque muoverci da attori liberi, fintanto che il burattinaio non interviene ad imporci il suo copione. Fuori, nel mondo esterno, sulle strade e in mezzo ai campi, rischiamo di perderci in una fuga ebbra e senza senso, di cui possiamo anche morire; però è dentro, negli angoli silenti in cui ci rifugiamo per pensare, per parlare con noi stessi e guardarci in uno specchio, che si consumano le nostre personali - e decisive – verità.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta