Regia di David Lynch vedi scheda film
Macabra rappresentazione dello scollamento tra mente e corpo, tra la memoria del passato e la fisicità presente. La donna che redige una pagina di diario a sfondo sentimentale mentre un'infermiera le medica, maldestramente, uno dei moncherini delle sue gambe amputate, riassume, in una sola immagine, l'effetto straniante del cinema lynchiano: ad impressionare non è tanto l'azione in sé, quanto l'insanabile contrasto che la caratterizza. Un singolo elemento anomalo, posto al centro del palcoscenico, attira su di sé tutta l'attenzione, innescando interrogativi e creando tensione. Come davanti al bambino mutante di "Eraserhead", noi ci aspettiamo, da un momento all'altro, che la mostruosità susciti, nel mondo circostante, una reazione; eppure ciò non avviene mai, la donna mutilata non batte ciglio e continua tranquillamente a scrivere anche quando la ferita, inopportunamente trattata, prende a sanguinare (e, probabilmente, a dolorare) in maniera consistente. L'idea è che l'abnormità perderebbe di significato se, nel film, venisse riconosciuta come tale; se la normalità la bollasse come un'intrusa, la scalzerebbe infatti automaticamente dal suo ruolo di protagonista, riportando, per altro, tutta la storia agli schemi della logica comune. Nel cinema di Lynch (da "Fuoco cammina con me" a "INLAND EMPIRE"), la distinzione tra il surreale e il verosimile cade invece in maniera radicale e definitiva: non c'è stupore di fronte alla stranezza perché il buonsenso, e l'istintiva necessità di cercare giustificazioni, rimangono, inesorabilmente, fuori dalla porta. A dominare la scena è sì la potenza del pensiero, ma quella assoluta, che sovrasta noi stessi ed i nostri percorsi obbligati, e detta le sue regole indipendentemente dalla nostra visione del plausibile, senza tener conto di ciò che siamo o, meglio, del modo in cui noi ci vediamo.
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