Regia di David Lynch vedi scheda film
Un imperdibile gioiello del giovane Lynch, quando ancora era studente d'arte, viveva in una stamberga a Philadelphia e si dedicava alla pittura. A un certo punto decise di mettere in moto i suoi disegni e di donargli un suono: nacque il corto "Alphabeth", disturbante e naif. Poco dopo, fu la volta di "Grandmother", forse il primo vero capolavoro di Lynch, anni prima di "Eraserhead", di cui anticipa le atmosfere torbide e perverse. "Grandmother" altro non è che la rappresentazione audio-visiva, fra animazione in stop-motion e riprese dal vero con attori in carne ed ossa, della fantasia/incubo di un bambino alle prese con un'affettività disturbata. Genitori distanti e violenti, la cui grigia esistenza pare oggettivarsi nello squallido loculo in cui abitano; un padre brutale e una madre isterica, che però nulla possono contro la fervida inventiva del bambino; una nonna, amorevole per quanto ambigua, "coltivata" dal nipote alla ricerca di un'alcova di calore ed affetto in tanto orrore domestico. Ammantano, e sostanziano (come un coro greco), la vicenda i suoni della natura, che creano un effetto straniante, per come evocano scenari bucolici in contrasto col buio di un lugubre interno. Lo sguardo di Lynch è già quello maturo e consapevole di chi ha le idee chiare sul proprio cinema. C'è già tutto il suo tipico attonito spaesamento di fronte ai misteri, alle ambivalenze, alle opacità di volti, corpi, ambienti, immagini, specialmente dei più comuni e familiari. Spaesamento che però non nega valori e sentimenti, rendendone anzi più struggente la loro manifestazione: il cinema di Lynch permette sempre di rinvenire, sotto la soffocante cappa di simboli ed enigmi, il lato umano, sofferto, tragico dei personaggi. Quello che ha fatto di Lynch uno dei maggiori registi viventi è proprio questa incredibile capacità di non perdere mai l'appiglio con quelle 3 o 4 tematiche "forti" e universali (l'identità, l'amore, la violenza, la sessualità), che costituiscono l'ossatura dei suoi film, il torsolo di un succoso frutto dove una buccia patinata ricopre una polpa dal sapore aspro. Lynch non si prende gioco dello spettatore, a differenza di quanto si crede sovente, in quanto i suoi film ci parlano sempre di sensazioni e drammi comuni: col filtro onirico, allegorico e meta-filmico, poichè per Lynch la verità è sempre presente, per quanto nascosta da un sistema di segni, maschere e codici dotati di una propria logica tanto inafferrabile quanto incrollabile. Come in Bunuel, di cui Lynch ne è l'erede naturale a distanza, per quanto inconsapevole. E se "Alphabeth" era il "Chien Andalou" lynchiano, "Grandmother" ne è "L'Age D'Or".
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