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Glory to the Filmmaker

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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21thcentury schizoid man

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La recensione su Glory to the Filmmaker

di 21thcentury schizoid man
7 stelle

Che Takeshi Kitano sia un genio del cinema è indubbio. Basti pensare, infatti, ai tanti capolavori che ha diretto: “Violent Cop”, “Il silenzio sul mare”, “Sonatine”, “Hana-Bi”, “L’estate di Kikujiro” e “Dolls” (tra tutti, il mio preferito). E’ altrettanto vero, però, che ultimamente sembra soffrire di una crisi di ispirazione. Lui stesso lo ammette all’inizio di questo film, aggiungendo inoltre di non voler mai più realizzare pellicole sui gangster come lo erano “Sonatine” e “Hana-Bi”, che poi sono i film che lo hanno reso famoso tra i cinefili di tutto il mondo. Quindi, cosa fare quando non si sa più che storie raccontare? Semplice: si mette in scena la propria crisi creativa. In fondo lo aveva già fatto Fellini con quel capolavoro che è “Otto e mezzo”. Kitano come Fellini quindi? Sì e no: sì perché l’idea di base, il regista in crisi professionale, è la stessa; no, invece, per il semplice motivo che questo film non è nemmeno paragonabile al capodopera felliniano. “Glory to the Filmmaker”, comunque, merita di essere visto: primo perché è divertente; secondo perché il Kitano interprete, sebbene possegga due sole espressioni, con o senza gli occhiali, è sempre in grado di lasciare il segno con la sua sola presenza. Anche se bisogna ammettere che qui eccede un po’ troppo in narcisismo. Ciononostante, come appena detto, la pellicola riesce a divertire; certe cose, poi, sono addirittura geniali: ad esempio l’idea del manichino che sostituisce Kitano in alcune situazioni (occhio all’incipit, forse il momento più esilarante del film), oppure la presa in giro del cinema di Ozu, suggellata dall’irriverente affermazione “a chi può interessare un film dove gli attori passano buona parte del tempo a lamentarsi e a bere il tè?” (divertente, certo, però personalmente non la condivido affatto). Nel complesso, tuttavia, “Glory to the Filmmaker” non riesce a sfuggire alla trappola della ripetitività, tanto è vero che alla lunga il gioco – soprattutto per i non ammiratori del maestro giapponese – rischia di farsi un po’ noioso.

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