Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Bell’omaggio francofilo che Ridley Scott sta portando a Cannes: nel suo nuovo Robin Hood, i cattivi tradizionali come lo sceriffo di Nottingham e il Re infido e prepotente, impallidiscono nei confronti dei francesi che ammassano i contadini dentro ricoveri di legno per poi dargli fuoco come facevano i nazisti con i villaggi dell’Ucraina e della Bielorussia, nel tentativo di preparare lo sbarco del loro monarca sul suolo inglese. I francesi di oggi la prenderanno, sicuramente, con la loro tradizionale mancanza di suscettibilità (tra Francia e Inghilterra c’è, da sempre, lo stesso elegante fairplay che c’è tra tifosi romanisti e laziali). In ogni caso, il film avanza con passo robusto e pesante fino a una sanguinosa battaglia sulle spiagge di Dover, tra i due eserciti, che rende il cinema di cui è fatto più vicino all’epica guerresca del Signore degli Anelli che alle acrobazie spaccone di Errol Flynn. È anche il momento in cui scintilla quel mix di montaggio ormonale e sguardo stroboscopico che ha reso celebre in tutto il mondo lo stile del Gladiatore (copiato da tutti: in primis dal suo regista). Ma prima di arrivare lì, c’è il lungo antefatto del ritorno delle Crociate e della morte di Riccardo Cuor di Leone, un laborioso plotting della situazione internazionale e un inevitabile resoconto delle povertà e delle ingiustizie di Nottingham. Insomma, per aspettare che Robin Hood faccia qualcosa da Robin Hood (predare nella foresta in nome della giustizia e della società) bisogna aspettare quasi 90 minuti (giuro). È vero che Scott ha detto che voleva raccontare la nascita del mito più che il mito stesso, ma nella classifica dei film sul tema, questo rischia proprio di trovarsi quasi al fondo - né rimarrà alla Storia la solenne ricostruzione, libertaria, della lotta dell’aristocrazia alla corona. Cosa lo salva dalla retrocessione? Non il copione colto ma velleitario, né le inquadrature paesaggistiche da art design, né Russell Crowe (il suo Robin Hood non ha né il carisma di quello di Sean Connery, né la purezza naif di Kevin Costner), ma una Lady Marian di lineamenti e bagliori preraffaelliti: anche perché non c’è bisogno di un grande filmaker per far risaltare su tutto Cate Blanchett.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta