Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Film d’apertura del 63° festival di Cannes, fuori concorso, il Robin Hood di Ridley Scott è il classico filmone mainstream americano. Ideale per aprire il festival più importante del mondo e spargere chiacchiericcio a larghe manciate, una generosa pastura mediatica per giornalisti, addetti ai lavori e spettatori rassegnati al solidale abboccamento. Ridley Scott, il mago della luce che ha incantato il mondo con due capolavori tra fine anni 70 e inizi anni 80 , “Alien” e “Blade Runner”, da qualche tempo ha trovato un fedele compagno d’arme in Russel Crowe al quale affibbia senza pensarci su ogni parte principale dei suoi film trascinando il corpulento australiano verso la famigerata “sindrome di Castellitto”, patologia virale che porta un attore ad interpretare al di là di qualsiasi verosimiglianza fisico/attitudinale ogni personaggio meritevole di trasposizione cinematografica.
Chi si ricorda le scorribande tra gli alberi e l’ironia elegante de “La leggenda di Robin Hood” (1938) di Michael Curtiz con l’unico, vero Robin che mai abbia calcato le scene, Errol Flynn o la meravigliosa trasposizione disneyana del 1973 che ha cresciuto generazioni di coraggiosi senza macchia e senza paura, si metta il cuore in pace.
In Robin Hood, Robin Hood non c’è. O meglio il film è la storia di Robin, non ancora Hood visto che il cappuccio non ce l’ha, quando ancora era solo il leale arciere di sua Maestà Riccardo cuor di Leone che depredava castelli per sostenere il ritorno a casa dopo dieci anni di crociate in Terra Santa e che nell’ultimo assalto prima di arrivare in patria ci lascia le penne. Quindi, nessun ritorno da liberatore nell’Inghilterra vessata da Re Giovanni il fratello cattivo e nessun eroe che ruba ai ricchi per dare ai poveri.
Quello dei prequel è il trucco prediletto dall’Hollywood più commerciale, permette di sfruttare il nome del mito prescelto per avere sterminata libertà narrativa senza per forza inchinarsi alle vicende classiche. Robin Hood che nella prima stesura avrebbe dovuto chiamarsi “Nottingham” proponendo uno speculare dualismo psicologico tra l’eroe e lo Sceriffo di Nottingham spremitore del popolino per conto di Re Giovanni, è invece stato trasformato, a scanso di equivoci allontana-spettatori, semplicemente un film d’avventura ambientato nel medioevo in cui si trama per il trono e si tradisce la propria patria per favorire quella altrui, la Francia ad esempio che sbarca in forze sulle bianche scogliere di Dover alla conquista dell’odiata Inghilterra come faranno (hanno fatto) gli americani in Normandia. A livello estetico nulla che non si sia già visto ne “Il Gladiatore” dello stesso duo Scott & Crowe o ne “Le crociate” o ne “Il Signore degli anelli”, la ricostruzione dell’epoca è come d’abitudine stupefacente, il ritmo sostenuto, il tasso di drammaticità tenuto sotto controllo e il lieto fine che darà vita alla leggenda servito caldo per trascorrere una nottata leggera. I blockbuster non devono insinuare dubbi, legarsi alle effimere presenze delle metafore, dilungarsi in lirismo introspettivo. Devono intrattenere, devono spiegare e devono farlo facendo casino. Così si parla tanto e inutilmente (ma nel medioevo si parlava così tanto? Non stanno zitti un attimo), ci si agita e scalmana, c’è il cattivo che è cattivissimo, i buoni buonissimi, tutti schierati come scacchi bianchi e neri. C’è la battaglia finale che non offre nessun dettaglio cruento nonostante ci si faccia a fette con asce spadoni e mazze con il classico scontro tra i due protagonisti opposti che vedrà soccombere chi è giusto che soccomba. Nessuna asprezza, nessuna visione del Male, la confezione è quella lenitiva del baraccone che ammicca e non osa, il film per tutti che più per tutti non si può Uno spettatore mediamente sgamato potrebbe indovinare in anticipo lo svolgersi di ogni scena, la linearità di questo film è di insolente ruffianeria così che 160 minuti risultano un po’ troppi per tutto questo intrattenimento ed a un certo punto si viene inevitabilmente aggrediti dallo sbadiglio. La domanda sorge spontanea: ma perché accanirsi ancora su un eroe sbiadito come Robin Hood? Ridley Scott è da tanto tempo che galleggia sui suoi dorati passati spendendo il proprio nome per operazioni di sconcertante, didascalica medietà come questo film del quale non si sentiva assolutamente il bisogno. Unici raggi di luce, Max von Sydow e “Lady Marian” Cate Blanchett che potrebbe interpretare uno scopettino per il water e sarebbe il più bello e seducente scopettino per il water del mondo. Certa gente nasce così, amen.
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