Regia di Oxide Pang Chun, Danny Pang vedi scheda film
Il cinema cosiddetto "action" è il genere che più si adatta (quando è rappresentato nella sua forma migliore) alla nota espressione "staccare il cervello". Perchè è il genere di cinema la cui fruizione ti consente davvero di "staccare la spina" e per un paio d'ore lasciarti conquistare da un cinema che è puro movimento, pura avventura, escludendo morali o ragionamenti se non nelle loro forme più elementari e superficiali. E questo film diretto dai "Pang brothers" ne è un esempio lampante. La pellicola è stata in più sedi stroncata, anche se ritengo un errore emettere giudizi netti e definitivi su un film che in fondo non ha alcuna pretesa od ambizione qualitativa. Personalmente, io che frequento con soddisfazione il filone action, senza peraltro esserne un esperto cultore, mi sono divertito e l'ho trovato un film per lo meno dignitoso. Parlare di questo film significa (al 90%) parlare di Nicolas Cage, che ne è il mattatore assoluto. Ma parlare di Cage ci porta ai soliti approdi che non ammettono variazioni sul tema. Il discorso è sempre quello: Cage è un controverso fenomeno d'attore che da sempre divide il pubblico in due: chi lo ama e chi lo detesta. E anche per la critica vale lo stesso discorso: chi lo reputa un attore ridicolo, sopravvalutato e con un'immagine spesso imbarazzante; e dall'altra parte chi argomenta che ci deve pur essere una ragione se Cage nell'ambiente hollywoodiano è attore stimatissimo da ogni cineasta e dunque richiestissimo in occasione di progetti grandi e piccoli. Io confesso di appartenere, nell'ordine, al primo dei due schieramenti, trovando grottesca quella sua unica espressione tra il preoccupato, l'accigliato e l'allarmato (non sorride praticamente mai). Per tacere poi (per umana pietà) dei suoi improbabili parrucchini o delle sue ardite attaccature di capelli. Però, onestamente, bisogna riconoscere una cosa. Cage, proprio per quella sua faccia monoespressiva è l'interprete ideale per un buon action movie che non richieda particolari sfumature nè alcuno scavo psicologico, soprattutto se a dirigerlo è un buon artigiano del genere in oggetto. Da questo punto di vista "Bangkok dangerous" è quasi perfetto e possiede i requisiti necessari. Chi va a vedere questo film sa perfettamente cosa lo aspetta, supportato peraltro da un esaustivo trailer, e potrà riscontrare che le promesse di suspense e adrenalina vengono mantenute. Esattamente come lo spettatore si attendeva, esso vede svelarsi ai suoi occhi una Bangkok che è come le parole dello stesso Cage la introducono all'inizio: corrotta, violenta, malata, congestionata. E la sua anima prende forma in queste immagini livide, bluastre, notturne, sporche e dominate dalle luci fredde dei neon, immagini che evocano i misteri di una città che vive le sue notti in un pullulare di traffici pericolosi, di mani fugaci che impugnano coltelli e pistole, di una malavita che pare rigenerarsi di continuo, alimentandosi di un sottobosco criminale più vivo e pulsante che mai. In questo torbido scenario si muove Joe (Cage) tipico "operatore" del settore, killer solitario prezzolato che, agendo con sicurezza e glaciale determinazione, di quel sottobosco rappresenta un pò un "manovale". Ma come ci insegna tutta una casistica letteraria e di cine-sceneggiature, peraltro ampiamente prevedibile, Joe è uno di quei killer, sì, spietati, ma condizionato da un'esistenza tormentata da dubbi e ricordi, all'insegna di un malessere esistenziale che lo carica di perplessità ed amarezza. Ho finora evitato di usare un aggettivo di cui in questi casi si abusa, ma credo sia quello che meglio può descrivere l'atteggiamento di un simile personaggio: "Dolente". Certo, Cage non è Eastwood (il dolente ideale e perfetto), e la sua performance è scarsa di sfumature, incapace di "liberare" talento, ma tutto ciò incide relativamente se a predominare sono gli inseguimenti e le sparatorie, le corse in macchina e in moto, le vendette e le "esecuzioni". E c'è anche il tempo e lo spazio per ospitare un tenero siparietto romantico, che ci mostra il lato debole del killer, il quale diventa un agnellino al cospetto di una giovane orientale sordomuta e assai graziosa. Ma è solo una parentesi, in mezzo ad un "fuoco" di sparatorie ed aggressioni. Volendo, possiamo anche leggerci un tributo ai valori della fedeltà e dell'amicizia, quella fra Cage e un giovane sbandato senza arte nè parte, che il nostro killer raccatta dalla strada e alleva come un figlio, addestrandolo con amore fino a farne una sorta di suo erede spirituale. Come si vede, al di là dell'action, si assiste ad un campionario di richiami a valori morali piuttosto elementari e -oserei dire- infantili nella loro semplicità assolutamente schematica. Tutto insomma perfettamente inquadrabile nell'ottica di un cinema non certo per palati raffinati. Se si pensa a questo preciso filone, occorre riconoscere che esistono cineasti orientali che hanno saputo conferire forte dignità ad un genere -l'action- aggiungendo valore ad una cinematografia che non fosse solo "muscolare". Chiaro che mi sto riferendo a quell'autentico "poeta dell'action" che è il grande John Woo. Questo non è invece il caso dei fratelli Pang, la cui arte resta nella media (secondo alcuni mediocrità) e che non sono in grado di offrirci nulla che in qualche modo nobiliti o elevi un filone che in prospettiva non offre grossi sbocchi. Non la pensa evidentemente così lo stesso Nicolas Cage che, figurando tra i produttori del film, in questo progetto e dunque anche nei fratelli Pang, ci credeva fino in fondo. In questo film non certo memorabile va segnalata però una sequenza talmente suggestiva e ben girata che resta fissata nella memoria. Immaginate Cage e la ragazza sordomuta che lui sta corteggiando mentre camminano...lei davanti e lui qualche passo dietro...a un certo punto spuntano dal buio due criminali, Cage li affronta e li elimina a colpi di pistola. Ma la ragazza, a causa del suo handicap uditivo, continua a camminare e non si accorge di nulla, almeno fino a quando non viene raggiunta, da dietro, da uno schizzo di sangue. E' una scena che dura una manciata di minuti, pochissimi, ma è girata magistralmente. Vorrei a questo punto citare la "chiusa" della recensione di Simone Emiliani apparsa su Film Tv, perchè la ritengo condivisibile ed esplicativa. "Per esprimere la solitudine del protagonista è molto più efficace un primo piano su George Clooney in TRA LE NUVOLE che il volto senza vita di Cage in tutto BANGKOK DANGEROUS". Concludendo. Mi sono divertito, pur nella consapevolezza dei limiti del genere, dei limiti dei due registi, dei limiti di Nicolas Cage. Non saranno TROPPI limiti per un solo film?
Voto: 5/6
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