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La ragazza che saltava nel tempo

Regia di Mamoru Hosoda vedi scheda film

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La recensione su La ragazza che saltava nel tempo

di Genga009
4 stelle

La ragazza che saltava nel tempo o, come lo definisco io, "il film perfetto da ammirare per chi vuole intendersi di cinema d'animazione giapponese" è un lungometraggio che merita uno studio approfondito partendo dalla domanda: perché piace così tanto?

 

 

Mamoru Hosoda

Mirai (2018): Mamoru Hosoda

 

 

"Un po' di storia": Mamoru Hosoda realizza, dopo essere entrato alla Toei Animation a fine anni Novanta, due lungometraggi spin-off della amatissima serie Digimon. I film, come era prevedibile, vengono piuttosto apprezzati sia da pubblico che da critica, sopratutto il primo. A seguito delle lodi ricevute in Giappone, il giovane Hosoda viene assunto nel famosissimo Studio Ghibli, che allora - 2001 - stava attraversando un periodo piuttosto ambiguo. Il successo internazionale di Principessa Mononoke aveva aggiunto prestigio - e soldi - alla casa di produzione nonché al Maestro ma, al contempo, I miei vicini Yamada, dato il suo lunghissimo periodo di produzione e gli scarsi risultati al botteghino, aveva attenuato tale guadagno e, di fatto, portato lo studio ad uno dei suoi tanti momenti di crisi, sia economici che ideologici. Per uscire da questa situazione viene quindi adottata la manovra che da trent'anni consente al Ghibli di andare avanti e superare le avversità, la cosiddetta "manovra Suzuki": a casa metà dei dipendenti e dentro tutti i più promettenti animatori delle varie case rivali, con buon stipendio in cambio di turni da 12 ore al tavolo da disegno. Hosoda entra nel team del Ghibli ed esce La Città Incantata. Botta pazzesca, Oscar, "geniale" di qua "capolavoro" di là e soprattutto un sacco di soldi nelle mani dello studio. Tutti contenti insomma, o quasi. Miyazaki, con la convinzione donatagli dal suo grande maestro Taiji Yabushita che "la carriera di un artista dura dieci anni, poi tutto svanisce", vuole mollare per l'ennesima volta la professione di regista, cosa che non gli riuscirà fino al 2014 (forse), e meno male! In seguito alla decisione di Miyazaki viene dunque fatto subentrare Hosoda, pieno di idee e di talento. Gli viene schiaffata sul muso una sceneggiatura intitolata Il castello errante di Howl. Figata! Ma Miyazaki e Suzuki lo seguono, lo braccano, gli stanno alle costole per vedere come lavora. Insomma, a Mamoru tocca fare lo stesso identico lavoro di Hiroyuki Morita (La ricompensa del gatto, 2002), anche lui nuovo membro dello staff del Ghibli ma giovane animatore appartenente alla scuola di Otomo e non a quella della Toei. Durante la produzione sorgono continui problemi, diverbi con Miyazaki, che non è proprio la persona migliore con cui andare a cozzare in tema animazione, e, in generale, si viene a creare un clima decisamente pesante e non produttivo all'interno del primo dislocamento dello Studio Ghibli. Suzuki allontana Hosoda dalla regia e pianta Miyazaki al suo posto. Hosoda si licenzia.

Questo fa capire due cose: che il più grande regista d'animazione della storia del cinema è completamente alienato dal lavoro e che, quindi, tante delle sue opere non sono che il frutto di questa sua malattia, perché se fosse una persona normale, Miyazaki avrebbe smesso di fare il regista nel 1988, dopo Totoro, e dato le redini dello studio al suo fidatissimo collega e amico Yoshifumi Kondo (I sospiri del mio cuore, 1995) come aveva più volte dichiarato. In conseguenza alla prematura morte di Kondo, tuttavia, è andato avanti fino a Mononoke, uscito nel '97. Invece, dal 2000 in poi, tutti i suoi lavori sono stati forzati da Suzuki e dalla mania di Miyazaki stesso di lavorare lavorare lavorare, senza sosta. Non per nulla l'ho definita una malattia, la sua. Consiglio la visione de Il regno dei sogni e della follia, nome non a caso. La seconda cosa che si capisce è quanto sia stato sfigato Hosoda, ennesima vittima di un sistema aziendale che letteralmente schiaccia chiunque voglia provare a rendere innovativo un ambiente creativo ma allo stesso tempo cameratesco come quello dell'animazione giapponese.

Fine del "Un po' di storia": Hosoda torna all Toei e dirige, nel 2005, uno dei tanti, troppi spin-off di One Piece. Anche questo lavoro va bene in termini commerciali, quindi, finalmente gli viene dat... ah no, decide di andarsene anche dalla Toei. Appena distribuito il film di One Piece, infatti, Mamoru-kun viene chiamato dallo studio Madhouse, alias "lo studio dei professionisti erranti", come mi piace definirlo. Alla Madhouse gli viene commissionato un lavoro che sembra interessante e il lungometraggio che uscirà l'anno seguente sarà la nostra affezionatissima La ragazza che saltava nel tempo.

 

 

locandina

La ragazza che saltava nel tempo (2006): locandina

 

 

Il romanzo omonimo da cui è tratta l'opera è di Yasutaka Tsutsui, uno dei più grandi scrittori giapponesi di fantascienza. Un nome a caso: Paprika. E' chiaro, quindi, che il soggetto è già alto di suo. La sceneggiatura, invece, risulta decisamente sfatta e forzata con temi adolescenziali che boh, a me non hanno colpito per niente. Ma visto che tanti, ma veramente tanti di quelli che hanno guardato il film sono andati giù di lacrimoni fino alla fine, dico che questo è un mio problema. D'altro canto, i personaggi sono il punto forte del film: caratterizzati a dovere e con personalità definite; umani con pregi e difetti ben descritti. La protagonista in particolare è veramente costruita in modo tale da essere interpretabile come "la liceale" per definizione, quindi, probabilmente, l'impatto così emotivo che ha spesso il lungometraggio sul pubblico è dato dal fatto che molte persone si possono immedesimare facilmente nel personaggio principale. Un ulteriore motivo per cui questo film è tanto amato è da riscontrarsi nella cura coi cui il regista sviluppa l'intreccio, il quale si dipana piuttosto ermeticamente in ambientazioni che, invece, vogliono far trasparire la più lineare delle quotidianità.

 

Ps: lo stesso Hosoda, in un'intervista, ha dichiarato che il suo modo di lavorare è cambiato dopo aver conosciuto Miyazaki e che si considera in parte suo allievo. Quando si dice essere masochisti...

 

 

scena

La ragazza che saltava nel tempo (2006): scena

 

 

Oltre, quindi, ad una buona qualità registica, anche il montaggio riesce a rappresentare sequenze tecnicamente ottime, come quella che apre tutto il discorso narrativo dell'opera (la scena della bicicletta). Il problema grosso del lungometraggio, motivo per il quale non ho messo la sufficienza è sostanzialmente uno: le animazioni. Dunque, va bene che Hosoda non è né Kawajiri né tantomeno Kon, che sono i due pilastri della Madhouse, però se nel 2000 esce Vampire Hunter D: Bloodlust e nel 2006, stesso anno del film di Hosoda, esce Paprika, entrambi film che dal punto di vista estetico sfiorano la perfezione, perché ne La ragazza che saltava nel tempo ci sono persone a cui, quando corrono, spariscono le gambe? A dirla tutta ci sono anche colori sbiaditissimi, troppi sfondi opachi, design indefinito durante le inquadrature ampie, ecc. È un problema di budget o è un problema di design vero e proprio? Io ho le idee chiare in proposito perché anche tutti i film seguenti di Hosoda sembrano scarti dei lavori di Masaaki Yuasa. "Ma è il suo stile, non puoi criticarlo!" Vero! È giusto dire allora che Hosoda ha un pessimo stile, in quanto non è abbozzato appositamente per rendere minimale l'estetica, non è grottesco appositamente per esaltare caratteristiche psichedeliche o oniriche, non è caricaturale appositamente per definire una dimensione distorta del proprio universo cinematografico. È semplicemente un pessimo stile.

 

Resoconto. Questo è un film che presenta una sceneggiatura piuttosto debole ma degli ottimi personaggi, una regia omogenea ed efficace, un ancora più efficace montaggio ma, ahimé, delle animazioni di serie b, anzi, della Toei (questa è cattivella) per quanto riguarda le riprese in tradizionale e i movimenti. Discorso diverso, invece, per i riusciti sfondi definiti con colorazione digitale.

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