Regia di Russ Meyer vedi scheda film
Russ Meyer sfoggia il suo genio quando gira Faster, Pussycat! (1965), ma alla prima occasione di sfoggiare il suo talento in una produzione di buon livello (in questo film, il suo primo per una major, cioè la 20th century fox) sa anche dimostrarsi tecnicamente dotato e capace di stupire ed emozionare con le immagini, portando a termine un'opera logicamente compiuta e cinematograficamente valida. Se la satira dei suoi precedenti lavori (oltre al già citato Faster, anche Motorpsycho! o Vixen!) era di grana grossa e facilmente comprensibile (o altrettanto facilmente fraintendibile), qui il discorso del regista - anche sceneggiatore, insieme a Roger Ebert - si fa più sottile e arzigogolato, complice una storia dai molti protagonisti e dai risvolti scoppiettanti. Il ritmo della prima mezzora è addirittura parossistico: sembra di assistere a un infinito trailer per la velocità dei dialoghi, l'impasto delle situazioni e le soluzioni nette di montaggio; fortunatamente la narrazione poi rallenta e si riesce a entrare meglio nello specifico di azioni e personaggi. Andando a fondo nelle caratterizzazioni, ci si accorge di avere a disposizione una serie di figure umane variamente 'fallibili': c'è chi è troppo amibizioso, chi troppo aggressivo, chi troppo gentile e via dicendo. Tutto questo - attenzione attenzione - ce lo spiega nientemeno che il regista nella voce fuori campo in chiusura: cosa significa quindi questo film? Che ognuno di noi, portatore sano di difetti personali, dovrebbe pensare a tendere la mano al proprio prossimo per godersi meglio la breve stagione che tutti noi trascorriamo 'lungo la valle delle bambole', cioè la vita: Meyer-ci-propone-una-morale-cristiana! Il valore sarcastico di questa morale spiattellata senza giri di parole è palese, ma la forza del lavoro del regista è che questa sorta di paternale bonaria non stona affatto con il significato reale del film: ovvero una feroce critica - tanto per cambiare - al malato sistema di valori degli Usa contemporanei. Successo, popolarità, ambiguità sessuale, alcol e droga, partner trascurati e accoppiamenti controvoglia, il mito del denaro, il rock come trasgressione, la donna al potere e perfino un accenno al nazismo (!), che tornerà poi trionfale al centro delle vicende raccontate in Up!, del 1976. Addirittura Meyer si fa profetico quando inquadra 'la morte in diretta' televisiva: siamo nel 1970 e ancora mancano dieci anni al lavoro di Tavernier, così come Quinto potere di Lumet arriverà soltanto nel 1976. Insomma, dentro a questa pellicola c'è davvero tutto il ribollire di una mentalità distorta (rispetto ai canoni convenzionali della società americana), ma lucidamente rivoluzionaria come quella di Russ Meyer. 7/10.
Un trio rock al femminile cerca fortuna a Los Angeles; trova impresari sporcaccioni, festini orgiastici, corruzione morale e fisica, ma infine impara una lezione...
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