Regia di Marco Filiberti vedi scheda film
A parte il caso Visconti e il genere Matarazzo, non esiste una vera tradizione del mèlo in Italia a cui riferirsi. Servendosi proprio di un isolato esempio (Visconti, appunto), Marco Filiberti propone un cinema diverso, inusuale, che affonda le sue radici nel teatro classico e al contempo moderno di Wagner, con la dichiarazione programmatica nell’incipit teatrale del Tristano e Isotta, nel cinema fassbinderiano che incontra Sirk e nella tragedia dell’umano troppo umano che non sa e non vuole essere tale dello stesso Visconti. A conti fatti, Il compleanno rappresenta al meglio le regole, i canoni tradizionali e le pulsioni del melodramma tout court, ambientando l’azione in una spiaggia (e la casa che sorge su di essa, scenario e altra protagonista della storia) che è un po’ una dimensione parallela alla vita normale (Roma, luogo di lavoro del personaggio principale), mostrando senza alcun pudore personaggi nudi, spogli dei propri orpelli, fotografati con una naturalezza che a poco a poco ne mette in risalto le impurità, le ipocrisie, i convenzionalismi. Non è la storia d’amore di due gay, ma la storia di qualcosa che nasce tra due uomini che lentamente scoprono se stessi, sbattuti di fronte alle conseguenze delle passioni in grado di distruggere una realtà costruita non sull’inganno ma sull’adattamento perbenista.
Tuttavia, il film, nella sua originalità, soffre di taluni vizi di molto cinema italiano, dall’atteggiamento ombelicale ed autocompiaciuto (il ritratto del quartetto borghese annoiato, che ad onor del vero si ricollega con molti film degli anni sessanta, altra stella polare di Filiberti specie nel discorso, per così dire, balneare) alle inutili implicazioni con la politica e la società (il mèlo si alimenta della sua dimensione esterna, non ha bisogno di connessioni con il reale, specie di riferimenti politici) fino all’onnipresente introduzione della canzone d’antan quasi pleonastica (la scena in motorino con Zingara di Iva Zanicchi è sicuramente suggestiva – specie se si pensa all’utilizzo di Testarda io in Gruppo di famiglia in un interno – ma alla fine anche superflua). Nonostante ciò, piacerà agli amanti del genere, e si appresta a diventare iconico il tormentato Matteo di un grande Massimo Poggio, che spicca in un cast in cui merita una menzione una splendida Michela Cescon.
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