Regia di Scott Cooper vedi scheda film
Se l'anno scorso Mickey Rourke era arrivato ad un soffio dal vincere l'Oscar con l'interpretazione-confessione di "The wrestler", Jeff Bridges ci è riuscito dopo quarant'anni di carriera nel ruolo di un altro "dropout", un cantante country una volta di un certo successo ormai sperso nell'alcool e in una vita mandata all'aria:tanto per dire, personalmente potrei indicare perlomeno sei o sette occasioni migliori di questa per consegnare la statuetta nelle mani di un attore di questo livello, già "Una calibro 20 per lo specialista", "Doppio taglio" e,chiaro, "Il grande Lebowski" sono performances più memorabili di questa. In cui tuttavia Bridges fa discretamente il suo dovere, solo che è proprio il personaggio che è ancorato a troppi clichès: l'occasione di rifarsi una vita grazie ad una donna verrà sciupata (ma non è detto) dalla sventatezza di fondo dell'uomo, c'è un figlio in giro che non vuole aver rapporti con lui, l'attaccamento alla bottiglia e troppi altri riscontri di altri tipi borderline cui la sceneggiatura si riallaccia in automatico. Esordio alla regia dell'attore Scott Cooper, il film si pregia della buona prova di Maggie Gyllenhaal che però non è servita del tutto bene dalla regia, e delle partecipazioni di Colin Farrell e di Robert Duvall, che tra l'altro coproduce il film assieme al protagonista Bridges. E' un pò il destino di molti grandi attori con l'Oscar:o non lo vincono mai, o glielo danno molto avanti nella loro carriera, e rimane l'amaro in bocca perchè non se lo sono guadagnato con il miglior ruolo, ma quasi in segno di concessione dovuta. Quello a Paul Newman per "Il colore dei soldi" ce lo ricordiamo eccome.
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