Regia di Scott Cooper vedi scheda film
Settimana cruciale, questa, per tutti gli appassionati di cinema, sotto un duplice aspetto. Innanzitutto è la settimana dell'attesissima attribuzione degli Oscar. E poi escono nelle sale italiane un paio di film la cui regìa è curata da due dei nomi più illustri della cinematografia mondiale contemporanea, Burton e Scorsese. Tuttavia, il mio ordine di priorità nelle visioni ha scelto un altro percorso, quello del cuore, e siccome si è sempre detto che al cuore non si comanda, sono andato (per l'appunto) dove il medesimo mi portava. Lungi da me il pensiero di sminuire i due "filmoni" sopra evocati (sono un fan di tutte le star coinvolte, da Burton a Depp, da Scorsese a Di Caprio) ma su di loro ha avuto la meglio nelle mie urgenze cinefile "Crazy heart", seppure affidato alla regìa di un esordiente (benchè ex attore) come Scott Cooper. Il motivo, evidentemente, è legato alla presenza di uno di quegli attori che adoro da sempre senza alcuna riserva, Jeff Bridges. Ho già avuto modo di spiegare, in sede di recensione di "L'uomo che fissava le capre", che al vecchio Jeff mi avvicina un legame non dico morboso (non siamo a questo punto!) ma sicuramente ai limiti della devozione. E, sempre in quella sede, ebbi modo di scherzare su questo aspetto, affermando che la mia conclamata e consolidata eterosessualità non mi impedisce di provare quasi una sorta di attrazione fisica verso Bridges: nulla di trasgressivo, in fondo mi limito solo a sostenere che Jeff è un maschio super figo. Ma, a parte le facezie, io ritengo che le sue qualità d'attore meritino uno straordinario riconoscimento ufficiale. Perchè Jeff non è un attore come tanti; il suo istrionismo non è quello standard hollywoodiano nè quello scolastico da primo della classe dell'Actor's Studio. Jeff ha qualcosa di diverso, una luce diversa, ha qualcosa che ha molto a che fare con il concetto di "carisma", ma forse va anche oltre. Sì, perchè Jeff emette il suo carisma con la parola (la sua voce è cavernosa, autorevole, seduttiva), con l'espressione del viso (capace di una espressività sia dolente che indolente) e infine con quel suo corpaccione che è, sì possente, ma non scolpito, diciamo "roccioso", e devo aggiungere che oggi coi suoi meravigliosi 60 anni, quel corpo "modificato" da una prominente "pancetta" è ancora più affascinante. Lo so, sto ancora offrendo l'impressione di esserne innamorato, ma, come ho già spiegato, la verità è che sono completamente sopraffatto dal suo indiscutibile carisma. Siccome però non credo di avere smarrito una certa attitudine all'equilibrio critico, non ho problemi ad ammettere subito che "Crazy heart" non è affatto un capolavoro. E che la parabola dell'artista in declino che affoga la sua frustrazione nell'abuso di alcool per poi risalire la china della redenzione alla ricerca di un riscatto, beh, è quanto di più riciclato e rimasticato ci sia dato vedere. Però, andiamoci piano. Prima di tutto c'è una regìa che supera con dignità la sufficienza. Poi c'è uno sfondo (quello dei locali dove suonano i musicisti country, un vero circuito "campagnolo") che è raccontato e descritto in modo decisamente azzeccato. Poi -ancora- da segnalare che il dispiegarsi delle reazioni emotive-sentimentali dei protagonisti agli eventi, drammatici o amorosi, che li travolgono, non è mai ricattatorio. Voglio dire che -checchè qualche critico ne abbia scritto- non ho rintracciato alcun eccesso di artificiosi meccanismi strappalacrime (il critico di Repubblica invece parla -testualmente- di film "strappacore", giudizio che ovviamente respingo). In sintesi, dunque, nulla di innovativo ma raccontato benissimo e con l'ausilio di due star di Hollywood in piena forma. C'è da dire poi che, a livello di progetto, il film vede un intersecarsi tra il regista e gli attori che non ho ancora messo ben a fuoco. A quanto ho capito l'idea iniziale è stata di Robert Duvall il quale ha chiamato a dirigere il film Scott Cooper e nel ruolo del protagonista ha voluto Bridges. Quest'ultimo poi, insieme allo stesso Duvall, ha co-prodotto il film. Se ne deduce facilmente che attori e regista hanno vissuto tutto il progetto con forte partecipazione e consapevolezza. Apro (e rapidamente chiudo) una parentesi. In molti hanno inteso scorgere collegamenti (e fatto raffronti) tra questo film e il celebre "The wrestler" di Aronofsky: io, pur ammettendo qualche analogia tra la comune parabola di due splendidi perdenti, ci andrei molto cauto, perchè si tratta di due opere troppo diverse quanto a stile e contesto. La storia, come detto, è semplicissima e anche in larga parte prevedibile nella sua evoluzione. Un famoso cantante di country music è frustrato per la evidente china discendente della propria carriera e oltretutto è persona (per quanto apparentemente "rocciosa" e disillusa) intimamente molto sola, resa tale da quattro matrimoni falliti alle spalle di cui il solo ricordo che conserva intatto nel cuore è quello di un figlio 28enne che ha lasciato quando aveva 4 anni e non ha mai più visto nè sentito. E dove credete che questo "perfetto loser" si rifugi se non nella ovvia, scontatissima ed immancabile bottiglia?!! Bad Blake (così vuol esser chiamato, col suo nome artistico "di battaglia") non fa altro che bere, spesso di nascosto, appartandosi. La bottiglia scandisce i ritmi dei suoi giorni e delle sue notti. Finchè, per uno di quei casi che non si possono prevedere, entra nella sua vita una giovane giornalista. Fra i due scatta un'attrazione reciproca che presto si trasforma in passione. Anche se va detto che ciascuno dei due ha un approccio diverso. Lui (coi quattro fallimenti amorosi alle spalle e ormai disabituato ad un legame autentico) ha un tremendo bisogno di ricominciare da zero ed avere un nuovo amore sincero da coltivare e dunque si butta tra le braccia di lei. Jean invece (una Maggie Gyllenhaal così bella e dolce da perderci la testa) è una donna con la testa sulle spalle. Jean ha un bambino di 4 anni, frutto di un amore finito in divorzio e lei, dunque, con la razionalità che a lui difetta del tutto essendo un artista vagabondo, si lascia sì trasportare dal sentimento, ma sempre coi piedi di piombo, sempre col timore di imbattersi nuovamente in un uomo sbagliato. Il rapporto va avanti apparentemente senza scosse per un pò, salvo l'intimo disagio di Jean, consapevole che l'alcolismo che Bad tende a minimizzare costituisce invece un problema enorme che prima o poi bisognerà affrontare. E infatti, un giorno qualunque, proprio a causa dell'ennesima sbronza, Bad smarrisce il piccolo di lei, col quale era uscito a spasso per la città. Fortunatamente il bambino viene ritrovato dalla polizia e riaffidato alla mamma. Bad è convinto intimamente di essere in buona fede, ma il problema è che ormai è talmente condizionato dal suo "vizio" da non rendersi nemmeno conto di come stavolta l'abbia combinata grossa. Ed è così che neppure si capacita di come Jean (stravolta all'inverosimile) lo pianti in asso fuggendo via da lui (col bambino) il più lontano possibile. Poi succede che lui, sopraffatto dal dolore per l'abbandono, si rende (finalmente) conto di essere un patetico e squallido fantasma schiavo di una tristissima dipendenza. E allora decide di intraprendere un faticoso percorso di riabilitazione, dal quale esce pulito e pieno di positività. Ma certe cose nella vita lasciano segni che nessuna redenzione può cancellare. Sicchè quando Bad, ripulito ed ottimista, va a bussare alla porta di quella donna che non ha mai cessato d'amare, trova un gentile ma deciso rifiuto. Un rifiuto che si intuisce doloroso e sofferto, ma definitivo ed irreversibile. I due destini si separano per poi incrociarsi di nuovo casualmente qualche mese dopo. Quando i due si ritrovano da amici e sono ormai due persone che hanno preso strade differenti. La vicenda, evidentemente, è una storia di sentimenti già vista e stravista, ma ne consiglio la visione a tutti. Prima di tutto perchè lo sfondo di un'America campagnola e provinciale è comunque interessante. E poi nel film c'è una valanga di buona musica, davvero tantissima: magari è musica che non ci è famigliare ma è comunque un'esperienza inconsueta per lo spettatore vederla suonata nei relativi locali country d'eccellenza, con un pubblico scatenato e partecipe. E poi ci sono i 4 protagonisti che fanno la differenza, eccome se la fanno! Cominciamo da quelli che potrebbero essere anche considerati dei camei, visto che si tratta in un certo modo di "partecipazioni": Colin Farrell e Robert Duvall, entrambi bravissimi. E poi c'è il mio amatissimo Jeff del quale ho "vaneggiato" anche troppo, che il Dio degli artisti lo benedica sempre. E infine la simpatica presenza di Maggie Gyllenhaal (accidenti Maggie ma non ti potevi scegliere un cognome più facile da scrivere?!). Io apprezzo Maggie da sempre, peraltro artista assai versatile, ma in quest'occasione ha offerto la prova d'attrice finora più convincente della sua carriera, una performance magnifica e toccante. Che altro dire? Ah sì, da sottolineare che sia Farrell che Bridges che nel film cantano parecchie canzoni, lo fanno con le loro (intonatissime) autentiche voci. Del resto ai fans di Bridges è cosa già nota che lui svolge da tempo con successo l'attività parallela di cantante, con un ottimo cd all'attivo. So di essere di parte, ma credetemi se vi dico, da cinefilo piuttosto navigato, che certe immagini di questo "loser", di questo uomo sulla via del fallimento, con lo sguardo perso e la bottiglia in mano, beh, sono difficili da dimenticare. Ciliegina (molto amara!) sulla torta di questo bel film: è uscito in sole dieci copie (e qui tralascio ogni improperio e maldicenza circa un mercato cinematografico che è ormai da tempo fuori da ogni ragionevole grazia di Dio). Morale della favola: per vedere questo film dovrete fare i salti mortali. Cosa, peraltro, a cui noi cinefili siamo abbastanza abituati. E non abbandoniamoci a cattivi pensieri, che tanto non serve a niente...(della serie che monnezze tipo "Wolfman" o "Alvin Superstar" o il furbo "Veronesi acchiappafamiglie" hanno occupato le multisale e non se ne vogliono più andare...)
Voto: 10
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