Regia di Noah Baumbach vedi scheda film
Un bel ritratto di personaggio fuori dagli schemi, i cui tic, le cui incertezze, le cui velleità, le cui paure disegnano l'eterno perdente in un mondo di apparenti vincitori.
Dopo vent’anni di vita a New York, l’ormai ultra quarantenne Roger Greenberg (Ben Stiller) torna a Los Angeles, la sua città, sistemandosi provvisoriamente in casa del fratello che è partito con la famiglia per una vacanza in Vietnam.
Il ritorno è l’occasione per rivedere vecchi amici, vecchi amori e per fare, anche, un bilancio della propria esistenza.
Dell’antica e sempre viva passione per la musica, poco è rimasto nell’ambiente che Grenberg da giovane aveva frequentato: troppo diversi sono gli interessi degli amici di un tempo, di chi nel corso degli anni ha messo su casa, si è fatto una famiglia e ha dovuto provvedere ai propri figli, come l’amico Ivan (Rhys Ifans), che avrebbe dovuto diventare suo partner e collaboratore nel complesso musicale a lungo progettato, negli anni dei sogni da ragazzo.
Ivan è adesso un uomo che ha conosciuto i compromessi nel lavoro, nella vita sentimentale, nel matrimonio.
Beth (Jennifer Jason Leigh), sua moglie, che un tempo Roger Greenberg aveva amato, è una donna matura, quasi spenta, che sente il peso dei figli e del difficile rapporto col marito.
Roger aveva visto polverizzarsi gli ideali e i sogni giovanili e ne era rimasto travolto: si era male adattato alla realtà; aveva progettato senza realizzare; si era innamorato senza costruire, si era isolato dal mondo, ne aveva avuto paura, trovandosi ora, in uno stato di indecisione paralizzante, a decidere. Nell’eterno conflitto fra principio del piacere e principio di realtà, Roger aveva scelto il primo e continuerebbe a farlo, nonostante le cure ricevute a New York in una clinica per malattie nervose.
Anche a Los Angeles, infatti, continuava a manifestare il proprio carattere velleitario: anche lì, quasi con disappunto, era riuscito a crearsi nuovi legami che gli impedivano di realizzare appieno i suoi progetti: era fortemente attratto da Florence (Greta Gerwig), ad esempio, la bella assistente della famiglia del fratello, ma vorrebbe fuggire lontano da lei, senza poterlo fare (gli mancavano i soldi, non aveva lo stick per ammorbidire le labbra e gli spiaceva lasciare il cane Mahler, che gli era stato affidato e che ora stava amorevolmente curando, e per il quale stava, finalmente, terminando una bella cuccia in legno...).
Il ritratto di Greenberg è l’interessante rappresentazione delle nevrosi di un uomo che non si è saputo - o voluto - integrare nel mondo di oggi, interessato esclusivamente a produrre, alla ricchezza, al successo volgare: le cure, fortunatamente non lo hanno guarito, perciò egli è rimasto quel fanciullone fragile, un po’ svitato, ingenuo, che lo rende simpatico a chi, come lui, non si adegua pur non sapendo tradurre il proprio disagio in progetto davvero alternativo, limitandosi a scrivere, semmai, una serie interminabile di sterili lettere di protesta...
Il regista realizza questo bel ritratto di personaggio fuori dagli schemi con intelligente e indulgente ironia, con simpatia quasi amorevole, facendone scaturire una spiazzante comicità che alcuni spettatori hanno trovato irritante: i suoi tic, le sue incertezze, le sue velleità, le sue paure, infatti, ne fanno l’esatto opposto di quell’uomo sicuro di sé e determinato che viene continuamente indicato come modello.
Bellissima interpretazione di Ben Stiller, perfetto nei panni, non facili da indossare, di un così complesso personaggio.
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