Regia di Noah Baumbach vedi scheda film
Noah Baumbach, assieme alla sua compagna di vita e lavoro Jennifer Jason Leigh, e’ ormai da tempo lo stereotipo dell’ansia, dell’isteria e della nevrosi che condiziona sempre piu’ le nostre disordinate vite, le nostre esistenze sempre piu’ fragili e minate da minacce spesso poco palpabili ma certamente non meno condizionanti e limitanti.
Uno spigoloso, atipico e decisamente scostante Ben Stiller -, impegnato nel ruolo piu’ maturo ed insolito per le sue corte generalmente piu’ leggere e soft, e per questo cosi’ straordinariamente convincente - e’ il Greenberg del titolo, quarantenne caratteriale e scontroso, ne’ simpatico ne’ particolarmente attraente, che, reduce da un lungo ricovero in clinica psichiatrica, viene invitato dal fratello ad occupare temporaneamente la villetta di famiglia mentre questi e’ in Vietnam per lavoro assieme a tutta la famiglia.
Il suo compito sara’ quello di occuparsi della casa, costruire una cuccia per il cane, e provare a riprendere a vivere con una certa autonomia. Certo la sua vita e’ una lunga serie di fallimenti o quantomeno di insuccessi, dall’esordio senza alcun riscontro come musicista rock, all’attivita’ di falegname che lo vede coinvolto piu’ a parole che con i fatti. Il discorso e’ che Greemberg vive (o meglio sopravvive) di una forte, intramontabile autostima che lo rende fra l’altro insopportabile e decisamente antipatico. A farne le spese la graziosa Florance (una splendida Greta Gerwig, da tener d’occhio perche’ sfondera’, se c’e’ ancora giustizia), una giovane segretaria tuttofare che aiuta il fratello del protagonista anche badando ai figli, al cane e facendo commissioni per la famiglia. Il rapporto tra i due procede a corrente alterna, tra gaffes e spinte erotiche subito interrotte nel peggiore dei modi. Greenberg e’ afflitto pure da mille idiosincrasie che lo rendono davvero ingestibile e decisamente insopportabile, specie nei momenti di difficolta’ o quando non tutto volge per il meglio.
Baumbach e’ tra i migliori registi in grado di rendere senza fronzoli o edulcorazioni il disagio e le nevrosi della classe dei quarantenni della quale fa parte; persone che hanno sfiorato nell’adolescenza un’epoca di vita al massimo e successi senza precedenti da parte dei loro genitori durante i roboanti anni ‘80 e che ora convivono col malessere di una vita mediocre e schiacciata da una crisi economica che risucchia nel baratro anche l’equilibrio psichico, condizionandone ogni possibilita’ di riscatto. E il confronto tra Greenberg ed i giovani d’oggi durante la festa improvvisata a casa del fratello non fa che accrescere l’incomunicabilita’ tra un mondo che comunque va avanti e cerca di resistere al vuoto che lo circonda, e un’esistenza ferma ai Duran Duran, annegata in una nevrosi di cio’ che poteva essere e non e’ stato fatto.
Grande prova di Stiller - occhio sbarrato e logorroica fissazione tesa a dimostrare l'inevitabile correttezza dei propri punti di vista - finalmente fuori cliché del furbetto dalla comicita’ irresistibile, qui scostante, antipatico e quasi sempre sgradevole, ma mai cosi’ umano nel richiedere senza saperlo un aiuto a quell’angelo biondo solo apparentemente impassibile e goffo, che alla fine si rivela la sola strada per trovare una via, anche contorta, ma che assomiglia alla pace interiore.
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