Regia di Noah Baumbach vedi scheda film
I film di Noah Baumbach nascono da un presupposto di commedia con sviluppi quasi sempre poco comici (mi ricordo lo straniamento che mi aveva causato all'epoca vedere ne Il matrimonio di mia sorella un Jack Black così cupo).
Il tema portante dei suoi film è sempre quello dell'inadeguatezza del protagonista nei confronti dei vari step di crescita imposti dalla vita contemporanea occidentale.
In questo caso ci viene mostrato un quarantenne in piena e acclamata crisi di mezza età (è appena uscito da un ricovero per essere curato dalla depressione), completamente straniato dal mondo e in perpetuo affanno: Ben Stiller (uno degli attori feticcio del regista) riesce magistramente a rappresentare quest'uomo in perenne stato di vero terrore all'idea di essere rimasto indietro, incapace di abbandonare i ricordi di un'ipotetica e del tutto mentale età dell'oro della giovinezza, con uno sguardo eternamente sbarrato anche durante una festa di adolescenti (che cerca disperatamente di ammaliare, rendendosi inevitabilmente ridicolo), anche durante il sesso. Un fastidio perenne verso se stesso che viene vomitato verso l'esterno, vuoi che siano occasionali compagni di viaggio che sommerge di parole, vuoi che siano lettere di lamentele, che scrive in continuazione e con una concitazione fuori tono.
Una salvezza gli verrà forse offerta da una ragazza decisamente più giovane (interpretata da quella che da questo film diventerà la compagna artistica e di vita del regista, Greta Gerwig), anch'essa alla ricerca di un centro, ma in grado di vivere la vita con più leggerezza e fatalismo.
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