Regia di Matthew Vaughn vedi scheda film
Non posso volare ma posso prenderti a calci in culo. Questa la dichiarazione d’intenti del sottotitolo. Kick-Ass è un divertentissimo delirio di cultura pop, un frullato di diversi generi cinematografici che ripesca le sensazioni dei fumetti dei supereroi per servirle in salsa nerd.
Film per nerd e per le loro rivincite, Kick-Ass è la storia di Dave, uno sfigato classico del camp movie americano cresciuto a pane e fumetti che come tutti i nerd sogna una rivincita sui bulli che settimanalmente lo rapinano, ambisce alla popolarità negata soprattutto in ambito femminile, anela le grazie della pulzella dagli occhi di cerbiatta socialmente impegnata e nel frattempo compie genocidi di spermatozoi impiastricciando montagne di Kleenex mentre fantastica sulle tette della sua prof di lettere.
C’è tutto il brodo primordiale Marvel, l’incomunicabilità stagna delle sottoclassi di sfigati (in)felici, la violenza inoculata a piccole dosi quotidiane, l’identità segreta che rivela motivazioni inespresse. Kick-Ass però, questo il nome del supereroe impersonato da Dave, non ha superproblemi, ne’ superpoteri, ne’ responsabilità. Ha solo un superiore senso della giustizia che lo porta a ribellarsi alle angherie urbane salvo rinnegare tutto trasformandosi in vigilantes in costume, ratificando la contraddizione principe dei supereroi e la condizione schizofrenica dei rispettivi alter ego “civili”.
L’impegno della difesa dei deboli inizia cercando di salvare un gattino smarrito e finisce, in un’iperbole logaritmica, col lottare contro il supercattivo fianco a fianco a supereroi veri, superaddestrati al combattimento e dotati di armamentari hi-tech, nell’escalation a livelli tipica del videogioco. Il film di supereroi diventa quindi un campo di battaglia ove tutta la tecnologia moderna viene messa in mostra, calando nella realtà dei social network e della visibilità condivisa di youtube la vita dei nuovi paladini della giustizia in un continuo gioco di rimandi e citazioni tra mitologia comics e action movie metropolitano.
La confezione colorata e la solida struttura della commedia vengono ripetutamente scoperchiate da sorprendenti momenti di violenza, sempre sferzata però da folate di ironia demistificatoria. Il gangster movie si fonde con l’epica dei supereroi come nessun film di tizi in calzamaglia aveva mai mostrato prima. I gangster del gangster movie stentano a credere che i loro affari, dopo decenni di cultura della famiglia pregna del realismo di Coppola e Scorsese, possano essere messi in discussione da tizi in calzamaglia.
Un cortocircuito dal ritmo narrativo forsennato, fotografato da una luce bruciante dai colori lisergici. Riprese live da telefonini e telecamere di sicurezza moltiplicano la realtà, soggettive da videogioco first person shooter, personaggi che hanno il tempo di acquisire fisicità e uscire dalle due dimensioni fumettistiche, pur rimanendo nei canoni del genere. Turpiloquio e sangue. La dimensione iperurbana e corrotta propone finalmente una storia politicamente scorretta e personaggi borderline con sete di vendetta muoversi al di là della legge: una bambina di undici anni, HitGirl, killer spietata e il suo papà-mentore-allenatore Big Daddy, sono la cosa più bella del film e uno dei ruoli più azzeccati di Nicholas Cage, da sempre amante dei fumetti di supereroi (il nome d’arte di Nicola Coppola è preso pari pari da Luke Cage, supereroe Marvel).
Kick-Ass è tratto da un fumetto americano di culto di Mark Millar, non a caso il polo gravitazionale dell’intero film è proprio un negozio di fumetti, luogo ove la fisica della mediocrità quotidiana galleggia nelle potenzialità inespresse del sogno e della rivalsa sociale, i cui fumetti con le loro storie-guida, fungono da grimori pregni di formule per esorcizzare la realtà. Queste formule sono la base del film: stilemi, pose, epopea, cultura, sono mutuati dalle tavole dei comics, reinventate e impastate con il gusto acido dello sberleffo.
Kick-Ass, autoprodotto dal regista inglese Matthew Vaughn, anch’egli appassionato di fumetti e produttore di tutti i film di Guy Ritchie, e con la collaborazione di Brad Pitt, è un signor film, sorprendente per espedienti narrativi e visivi, dalla solida drammaturgia e svincolato – l’autoproduzione fa bene all’arte- da tutte le regole di correttezza che infestano le produzioni ad alto budget.
Un oggetto non omologato e spiazzante, per i frequenti cambi di ritmo e di genere che si susseguono all’interno della storia non poteva che produrre imbarazzo nella nostra distribuzione. Giunto colpevolmente in ritardo di un anno nelle nostre sale, - un’inezia in confronto ai 18 anni di ritardo di Porco Rosso di Miyazaki- è cresciuto come popolarità grazie proprio al passaparola sui social network, strumenti che nel film servono a fare uscire dall’anonimato i cialtroni vigilantes in costume. Tridimensionalità senza 3D, sempre di più il cinema utilizzerà i linguaggi mutuati dai media per attraversare lo schermo e affascinare spettatori sempre più avvezzi alla multimedialità della comunicazione. E ci salverà dall’oblio di ciechi burocrati del cinema che non capiscono un cazzo di quello che vedono. Visti i malefici precedenti è andata bene che non sia stato rititolato Se mi rompi ti scalcio. Da non perdere.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta