Regia di Paul Schrader vedi scheda film
Trovo estremamente difficile scrivere un commento su questo film. Indubbiamente, la dirompenza del suo impatto rende difficile la lettura delle molte tematiche trattate, legate all'Olocausto ma estensibili ad altre tragedie analoghe: le storia dei superstiti. Dopo aver vissuto l'orrore, molti di essi non sono in grado di lasciare tutto alle spalle e ricominciare, ma sopravvivono, ai bordi della follia, portando dentro di loro i fantasmi del passato: sensi di colpa; la consapevolezza o la convinzione di essersi salvati in pochi, tra tanti altri che sono morti; la disumanizzazione, espressione dell'anima stessa del nazismo, che è stato organizzazione razionale al servizio dell'irrazionalità più estrema. Il protagonista, nonostante sia mostrato quasi padrone di sè, e del contesto nel quale agisce - una clinica per il risanamento pisichico dei sopravvissuti spersa nel deserto d'Israele, quasi un altro lager, all'interno della quale si muove come vuole, è amante (amorale) della caposala, discute alla pari con i medici - è pienamente vittima di questo complesso, portando dentro di sè il fantasma del suo passato ed il fardello delle vite che sono andate distrutte contemporaneamente alla - ma non a causa della - propria salvezza. L'occasione salvifica è offerta dall'incontro con un bambino che, non è spiegato perchè, è stato allevato come un cane, nel quale il protagonista riconosce sè stesso durante la reclusione nel campo di sterminio. All'epoca, adattandosi, è sopravvissuto. Successivamente, non vuole che il minore si adatti, rinunziando alla propria natura umana, e pertanto ne stimola i sensi e le capacità sino ad inserirlo in un percorso di educazione. Contemporaneamente, coglie consapevolezza della propria natura e, na una corale manifestazione di emenda collettiva, si libera del male che continuava a vivere nella propria mente, tornando a vivere un'esistenza qualunque.
Un film per pochi. La presenza di scene fastidiose, l'orrore della disumanità e dell'indifferenza mostrato senza filtri, i montaggi complessi ne rendono la visione ardua, ma non ne limitano la portata espressiva.
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