Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film
Buio: una mano apre una porta, accende la luce ed entra in una piccola stanza. Luce: la mano apre un'altra porta della stanza, entrano due occhi, che vengono "fissati" ai polpastrelli delle dita. Ora la mano "vede", esplora la stanza, scopre che c'è anche una finestra. Poi, improvvisamente, entra nella stanza un'altra mano, mentre fuori dalla finestra, due orecchie che volano impazzite, sbattono sul vetro per entrare, attirate dalla luce della stanza. La mano dotata di occhi apre la finestra, separa le orecchie l'una dall'altra e poi le innesta sull'altra mano. Adesso la mano con le orecchie sente bussare alla porta: fa capolino un naso, che viene subito afferrato dalle due mani e trascinato all'interno. Ma il naso è attaccato ad un viso: le due mani, allora, lo ricompongono, attaccandogli occhi ed orecchie. Seguono, poi, una lingua e i denti, poi il cervello, poi ancora un paio di piedi, pene e testicoli. Infine, la stanza viene invasa da materia informe, che le mani plasmano fino a formare il resto del corpo, che ora, perfettamente ricomposto, si ritrova compresso e sacrificato all'interno della stanza. La mano spegne la luce. Buio. Suggestivo cortometraggio realizzato da Jan Švankmajer nel 1989 (e che trionfò come miglior corto al Festival di Berlino dell'anno seguente), l'ennesimo gioiello nella folgorante carriera, iniziata nel 1964, di questo geniale "alchemist of the Surreal" (dal titolo di un'edizione antologica dei suoi capolavori): realizzato animando figure di plastilina in stop-motion, Darkness, Light, Darkness ne espone stile e poetica con lucida visionarietà e smagliante virtuosismo, trasfigurando nella parabola di ispirazione meccanicistica, tra la "materia inanimata" di Cartesio e il determinismo naturalistico, la rappresentazione metaforica della ciclicità dell'esistenza umana. Švankmajer traduce la carnalità dirompente del processo creativo nella fluidità (visiva e metaforica) con cui viene plasmata la materia informe per trasformarla in oggetto pulsante di vita, contrappuntando le deviazioni nell'Assurdo con la vena di malessere evocata da immagini stranianti e gag grottesche, come il bicchiere d'acqua gettato addosso al pene, le due orecchie volanti, il simbolismo del carrello circolare conclusivo, a ritrarre allegoricamente la "compressione" dell'uomo negli angusti spazi della stanza, evidente stadio terminale (e, quindi, conclusione del ciclo vitale) della sua crescita. Una perla luminosa, nella filmografia del suo autore, dalla raggelante forza espressiva.
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