Regia di Bruno Dumont vedi scheda film
Che Bresson abbia influenzato, direttamente o indirettamente, decine di cineasti contemporanei è un fatto assodato. Con questo capolavoro di Dumont, abbiamo un'ulteriore conferma. Anzi, azzarderei a considerare "Hadewijch" il maggior risultato della poetica/estetica neo-bressoniana. Il rigore, la purezza, l'intransigenza di questo film sono messe al servizio di un lucido ed articolato discorso sul fondamentalismo religioso e sulle "ragioni" che ne stanno alla base, ma anche sulla presenza/assenza di Dio nella vita quotidiana delle persone. In questo senso, bisogna dare atto a Dumont di essere riuscito nella difficile impresa di ottenere il massimo dell'espressività tanto nella sceneggiatura quanto nella regia. Un film semplice solo in apparenza, in realtà complesso a livello tematico e ricco di finezze all'insegna di un sobrio simbolismo (esempio: la sequenza in cui Celine prega di fronte ad un altare su cui poggia una gru, insolita metafora della sacralità violata). Le quattro sbilenche inquadrature che compongono l'intensa scena finale sono davvero degne, in tutto e per tutto, del maestro Bresson. Il fatto che Dumont, ogni tanto, citi se stesso (le corse spericolate in moto, da "L'età inquieta") non contamina il valore dell'opera. Fotografia, musica, interpreti sono ai massimi livelli. Difficile trovare un film attuale girato con la stessa grazia: la Luce che ha colpito Celine in un momento clou deve aver colpito anche Bruno Dumont dietro la mdp!
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