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Hadewijch

Regia di Bruno Dumont vedi scheda film

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sasso67

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La recensione su Hadewijch

di sasso67
8 stelle

Uno dei punti di forza delle religioni rivelate (quanto meno il Cristianesimo e l'Islam) è il postulato - non so se sia un vero e proprio dogma - che Dio ci ama. Si tratta di un amore totale, che non comporta gelosia, perché l'amore di Dio per un altro o per un'altra si moltiplica ma non si divide e quindi l'Onnipotente ama tutti con giustizia e nella stessa misura. È, dunque, un amore che non ha controindicazioni per il singolo, salvo quella che, alla fine della fiera, Dio non esista. Tra questi due confini - l'amore estremo, incontrastabile (quale rivale potrebbe opporsi a Lui?) per Dio e la possibilità, spaventosa, che proprio questo supremo dispensatore d'amore non esista - si dibatte la giovane Céline, allontanata da un monastero per un eccesso di autodisciplina, che potrebbe perfino nascondere il peccato di superbia. Céline è alla ricerca di questo amore, che certo non ha trovato in una famiglia quasi del tutto assente, e che possa condurla all'estasi come una novella Teresa d'Ávila oppure all'estremo sacrificio di sé stessa, come Giovanna d'Arco (o come gli integralisti musulmani che si immolano da kamikaze?). Fatto sta che la ragazza pensa di trovare una risposta alla propria inquieta ricerca d'amore nelle parole di un giovane musulmano, coordinatore di un gruppo di studio sulla religione islamica, il quale le fornisce una spiegazione plausibile della devozione verso l'invisibile, che, detto in parole poverissime, "esiste in quanto noi l'adoriamo". Dumont filma la vicenda di Céline con uno stile scarno (nelle prime sequenze, ambientate nel monastero, sembra di vedere qualche riferimento alla pittura del periodo della Controriforma), ma rigoroso, secondo inquadrature talvolta sghembe, ma più spesso geometricamente ripartite. Quando, per esempio, Céline parla con Yassine (o comunque si trova in campo con lui) e con gli altri interlocutori, lei è sempre sulla sinistra dell'inquadratura, almeno fino alla sequenza fondamentale in cui la ragazza conduce Nassir alla casa dove è nata e che si conclude con la frase, simile a quella che pronunciò Maria davanti all'Arcangelo Gabriele «eccomi, sono pronta». Qui troviamo Nassir alla sinistra dell'inquadratura, ed in altre scene (con la giovane suora, con David) troviamo Céline sulla destra, come se avesse ormai anch'ella bisogno di una guida alla propria destra. Il cinema di Dumont si dimostra capace di affrontare temi sempiterni e soprattutto di andare alla ricerca delle insondabili motivazioni che spingono gli animi più sensibili a slanci che possono portare all'autodistruzione, anche per mezzo della religione. Ma, al contrario di quest'ultima, il regista francese - degno emulo, in questo, dell'approccio problematico bressoniano - non si arroga il diritto di fornire dogmatiche risposte.

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