Regia di Sofia Coppola vedi scheda film
Bando alle ciance e alle insinuazioni: Sofia Coppola ne è troppo spesso investita ingiustamente. Si dovrebbe invece sempre stare dalla parte di chi, costante, continua a raccontarci di rinascite che travalicano i pregiudizi, gli auto-pregiudizi, il chiasso delle chiacchiere, la luminescenza al neon dei riflettori puntati, i colori di mondi artefatti, la pornografia dei sentimenti, la presa diretta delle tragedie famigliari. Nei suoi racconti di anime in sospensione, dimostra di aver sviluppato una propria padronanza del mezzo cinematografico indipendente da quella del grande, Coppola padre. Non è la viziatella e superficiale figlia di papà, come molti la vogliono dipingere, semmai in “Somewhere” è il padre (almeno lei ce l'ha) che entra per una volta in scena. Nella sceneggiatura sicuramente Sofia Coppola elabora a partire da spunti autobiografici: ma allora è possibile credere che il vissuto sia solo materia di vano pettegolezzo, e romanzato non riesca invece, irruente nella sua messa in scena essenziale e verosimile, a infrangere muri di indifferenza e noia? Quando con lo stesso film ha vinto il Leone d'Oro nel 2010, molti davano dell'allocco innamorato a un Tarantino presidente di giuria: in realtà anche in quell'occasione era supremo regista irridente, che si fa beffe delle mode cinematografiche (scomponendole e reinventandole, superandole), ed esperto cinefilo che sa vedere, comprendere e premiare la sincerità.
Johnny Marco è una celebrità di Hollywood, ma conduce la sua vita da fantasma. Passa ore sonnolente tra la camera e la piscina dello Chateau Marmont, hotel soprattutto di vecchie glorie in cui le nuove sono solo di passaggio, castello infestato anche da apparizioni di donnine facili. La presenza della figlia Cleo, ragazzina eterea che pattina sul ghiaccio, piomba con leggerezza dopo una notte di sonno. Così si seguono degli stralci della loro vita insieme. La cinepresa si insinua con discrezione nei momenti di intimità fra padre e figlia, che sono quelli quotidiani in cui Johnny recupera autenticità: tanto che nell'unica occasione in cui riprende le vesti della star non può che sorridere imbarazzato allo sguardo divertito di Cleo, durante la premiazione del Telegatto (l'Italia è un variopinto baraccone di volgarità, telecamere, comparse di plastica, sbraiti, balordaggine, opportunismi da cui si fugge senza esitazioni).
La sceneggiatura costruisce una messa in scena paratattica, seleziona episodi apparentemente casuali ma non lascia nulla al caso. Lancia una sfida allo spettatore, come faceva Gadda al lettore: ricostruire una trama quasi inesistente, ma il cui intreccio ha i suoi climax nelle scene di “cognizione del dolore”. Giocando di accumulo, le circostanze e le relazioni inducono il protagonista alla coscienza delle proprie mancanze e meschinità, dell'inettitudine per cui un “datti al volontariato” è solo un consiglio distratto e sciocco. Per Johnny la cognizione del dolore è coscienza che l'affetto per Cleo è indispensabile per essere sé stesso. Adesso il motore rombante della sua auto non gli serve più per girare a vuoto, ma per andare più veloce. Dove? “Da qualche parte” dove c'è qualcuno che lo aspetta.
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