Regia di Sofia Coppola vedi scheda film
Cineasta degli interstizi, la Coppola si è sempre mossa nei non-luoghi di hotel o di altri luoghi di passaggio, tra i non-tempi sospesi nell’incertezza del fluire cronologico, in attese inesplicabili e in preparazioni di momenti a venire, costruendo film interpretati da non-personaggi dai caratteri indefiniti, indecisi sul taglio da apporre allo scandire delle giornate. Siano essi giovani spose, adolescenti inquiete, giovani regine o attori sulla breccia, i protagonisti della Coppola si muovono con apparente superficialità in un universo mobile e traslucido, appannato dall’agio o dall’indolenza.
Anche l’attore irresponsabile di Somewhere risponde ai canoni dei suoi predecessori filmici, irresoluto in tutto, soprattutto nei sentimenti, incapace di approdi fermi e riconoscibili e immobile in perenne sosta ai limiti della coscienza e il film avanza per scene di inebriante inutilità, didascalicamente vuote, oggettive e orizzontali come bozzetti di inerzia esistenziale.
Portato per mestiere ad interpretare altri, per natura ad imitare la vita, Johnny vivacchia sonnambulo, stiracchiando giornate preordinate da altri tra uno sbadiglio e del sesso distratto, a tutto disinteressato. Sino a giungere al sospetto di non riuscire ad essere uomo, o padre, un referente reale nella astrattezza diventata dolore della propria indeterminatezza. Ma la figlia è un corpo estraneo e familiare, un cervello autonomo e vivace, un essere finalmente umano tra gli ectoplasmi dello show-business, la cui concretezza cozza con le inquiete attitudini alla leggerezza così stabilmente consolidate dall’abitudine. Qualcosa, da qualche parte, si rompe e l’illusione si frantuma nella necessità di trovare o poter offrire un abbraccio saldo e sincero a chi ne ha o avrà bisogno. Perché nient’altro importa, in fondo, oltre a quell’unica certezza che deve diventare concreta, mentre il non-personaggio abbandona all’improvviso tutte le assenze che lo definiscono per cercarsi una certa identità.
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