Regia di Jan Svankmajer vedi scheda film
Una rilettura in chiave intimamente dark di una favola criptica e ricca -all'origine- di allusivi messaggi. Un'opera imponente -realizzata con animazione a passo uno- sospesa nei dialoghi, tangente (sotto metafora) al mondo onirico e impregnata di arcaiche suggestioni.
La cameretta della piccola Alice (Kristýna Kohoutová) è piena di orsacchiotti, pupazzi di peluches e giocattoli varii. Uno di questi, un coniglio bianco, improvvisamente si anima e fugge, inseguito da Alice. La piccola si ritrova catapultata in un mondo irrazionale, senza alcuna più logica sequenza di causa ed effetto, spazio e tempo. Accedendo da un cassetto di un tavolo, Alice scende, va giù, verso il basso -tramite una sorta di ascensore- per approdare in un Mondo nuovo, pieno di meravigliosi e stravaganti oggetti animati.
"Alice disse fra sé e sé: ora vedremo un film fatto per bambini... forse. Quasi dimenticavo, dovete chiudere gli occhi, altrimenti non vedrete niente." (Alice)
Esordio in regia, dopo un cospicuo numero di cortometraggi (realizzati in 24 anni), di uno stravagante regista ceco, Jan Švankmajer. Utilizzando la complessa tecnica del passo uno (tipica di Ray Harryhausen prima e Tim Burton dopo) il regista rilegge -in chiave più ambigua e meno semplice- la favola di Lewis Carroll. Poche, ma significative, le varianti apportate, come testimoniano scene con situazioni non previste nel testo. Una su tutte quella in stile "matrioska", con Alice all'interno di un sarcofago/bambola. L'uso limitatissimo del dialogo -spesso Alice si limita a ripetere: "Disse il cappellaio matto, quando non il Bianconiglio, il Bruco o la Lepre Marzolina"- abbinato alle trasformazioni cui va soggetta la piccola protagonista, ne fa un'opera stravagante e piuttosto anomala (o meglio inadatta) per il pubblico più infantile. Vi sono elementi inquietanti, rimarcati dai continui riferimenti al tempo (scandito dal ticchettio degli orologi e dall'angoscia del "ritardatario" Bianconiglio) o dalla presenza di pupazzi "scheletrici" (Tim Burton qui probabilmente impara). Pure gli occhi/bottone della Lepre che cadono, la paglia all'interno dei pupazzi che fuoriesce, o i tagli di testa cui vanno incontro le carte mobili... sembrano -anzi sono- evidenti allegorie: il primo livello è quello evidente, di parti del corpo (di oggetti) che si staccano o possono intercambiarsi con altri oggetti; quello nascosto è più "splatter", per ovvia estensione dall'oggetto al soggetto, ossia dal pupazzo al corpo umano. Velata, insinuante, profondamente dark: questa traccia nascosta (ma intimamente presente) rende l'opera di Švankmajer qualcosa di perturbante, penetrante e -con quel finale ambiguo che lascia in sospeso la storia tra sogno e/o realtà- sottende un aspetto -della personalità del regista- decisamente folle. Ma quel tipo di follia che, in realtà, è manifesta espressione dell'illuminazione. Follia tipica del genio, o di chi riesce a vedere/percepire, aldilà, oltre i più fallaci e ingannevoli sensi umani.
I grandi esclusi
La cinematografia più interessante, non essendo allineata al contesto più ortodosso (nel caso nostro quello americano), difficilmente raggiunge il nostro Paese. E così restano per noi vere e proprie chimere le molte pellicole esemplari realizzate -solo per citare alcune Nazioni- in Polonia, Russia, Repubblica Ceca, Svezia, Danimarca e Slovacchia. Finché qualche filantropo, mettendoci ingegno, tempo e fatica, ne realizza i sottotitoli dando così la possibilità al pubblico di conoscere film altrimenti boicottati. Boicottati, certo: non mi viene altro termine, data l'ottima qualità di tantissimi titoli che non solo non raggiungono le nostre sale cinematografiche ma nemmeno arrivano all'home video. Esemplare, in tale contesto, che questa interessante versione di Alice sia stata "sdoganata" in Italia solo nel 2012 (grazie ai tipi della Raro Video): distribuito dopo qualcosa come 24 anni dalla realizzazione. E non sembrano volere cambiare le ottiche dei grandi distributori nazionali, vista la programmazione settimanale nei nostri multiplex, con gli schermi delle multisale invase da chiassosi blockbuster realizzati -al 70%- negli States.
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