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Yûkoku

Regia di Yukio Mishima, Masaki Domoto vedi scheda film

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La recensione su Yûkoku

di Axeroth
10 stelle

Primo e unico film del poeta, scrittore e patriota nipponico Hiraoka Kimitake meglio noto come Mishima Yukio, aiutato alla regia dall'amico Masaki Domoto per la trasposizione del suo racconto breve omonimo. Il titolo dato all'opera, scritto in caratteri Kanji, è formato dall'ideogramma "Yu", e dall'ideogramma "Kuni". Il primo che significa "dolore" o "sentimento", ed il secondo "paese" o "patria", i quali messi assieme compongono il vocabolo "yukoku", cioè "patriottismo". Sottotitolo del film è "Rito di amore e morte", volto a sintetizzare in modo armonioso e cruciale l'esito e l'andamento della storia. In sostanza si tratta di una pellicola muta, accompagnata dalle wagneriane note di Tristano e Isotta e dalle didascalie sporadiche di un io narrante. 

La vicenda si divide in 5 capitoli e viene eseguita su un palcoscenico a forma di "L" da teatro No, con un grande tokonoma alle spalle dei protagonisti, con su dipinta la parola "Pura sincerità": 
Chapter I) "Reiko", incentrato sulle emozioni e sulle memorie della donna; 
Chapter II) "Il ritorno del tenente", incentrato invece sulle emozioni e le memorie del tenente Shinji Takeyama.
Chapter III) "L'amore definitivo", anche qui, come nel primo capitolo una sequenza di immagini magistrale, dove la coppia di amanti fa l'amore in passione manifesta - siamo sulla punta della sinusoide, dopo l'apice, comincia il tracollo: Takeyama scrive "Lunga vita all'armata imperiale", autografandosi a lato. 
Chapter IV) - il più lungo dei capitoli- "Il seppuku del tenente", nel quale con grande e solenne prestazione si suicida facendo penetrare il tanto (o spada corta) nel ventre, esattamente sotto la milza, compiendo un taglio netto di 10 cm, per poi decapitarsi infilzando la giugulare - di consuetudine il rituale samurai, utilizzato prevalentemente nel Periodo Edo (1603-1868) prevederebbe la decapitazione da parte del più importante e auterevole samurai del feudo riconosciuto dal daimyo in carica.
Chapter V) "Il suicidio di Reiko". Dopo essersi truccata, come se stesse per sposarsi - con la causa del marito-, con rossetto sulle labbra e bianca tinta sul viso, volge a chinarsi accanto al suo amato per poi togliersi la vita (rito del "jigai"), sgozzandosi anch'ella nella giugulare. 

Tristano Takeyama e Isotta Nihon, hanno un problema di dialogo, l'uno cerca di manifestare l'amore assoluto per la sua anima e lei sembra non ascoltarlo, corrotta nello spirito, prigioniera di una realtà che le impedisce di vedere l'amore di Tristano, l'uomo della passione, folle ricercatore della libertà attraverso il sentimento di essere posseduto, spogliato, gettato fuori di sé medesimo, nell'estasi. Così, quando si sventra, Takeyama, dona tutto se stesso all'Imperatore e al suo Impero del Sol Levante, prostrandosi, accasciato, davanti agli ideogrammi di "Pura sincerità", manifestazione dei suoi sentimenti spirituali e ideali.

Yukio Mishima, quattro anni più tardi si toglierà la vita, dimostrando tragicamente tutta la sua coerenza. Moravia lo chiamerà "conservatore decadente", altri "fascista", in patria non riscuoterà tanto successo quanto all'estero, ma rimarrà indelebile la sua grande sensibilità verso il suo paese che negli Anni Sessanta era ormai sempre più occidentale ed influenzato negativamente dalla cultura americana.
Il suo senso dell'arte in quest'opera lo pone sul piedistallo dei più grandi cineasti nipponici, nonostante la sua brevissima e povera ma ricca attività cinematografica, così come fu a modo suo anche per Jean Vigo.

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