Regia di Sergio Basso vedi scheda film
Riprese mobili, composizione simmetrica del quadro, split screen, musica non diegetica e persino animazione: non c’è intento mimetico in Giallo a Milano. Sergio Basso non nasconde l’artificio cinematografico in virtù di una presunta obiettività, bensì racconta la comunità cinese attraverso numerose piccole storie, con stili diversi e tenendo un buon ritmo. In scena scorci di vita da un paio di coppie, una giovane ballerina, una classe di bambini cinesi che non sanno il mandarino ma solo il dialetto, una ragazza italiana che ha un nonno cinese e un giovane attore omosessuale con i genitori divisi sull’idea di tornare o meno in patria. Quest’ultimo, avvezzo ai monologhi teatrali, è per altro l’unico a parlare in macchina insieme al collaboratore di giustizia, il cui anonimato è mantenuto attraverso due notevoli sequenze d’animazione (curate da Lorenzo Latrofa). Con lo scorrere dei minuti le idee preconcette si dileguano, mentre se ne scopre l’altra faccia: secondo i cinesi gli italiani sono pigri, un’accusa meravigliosa in un città che fa del culto del lavoro un onore e che spesso liquida come indolenti immigrati d’altra provenienza. Perché, come un uroboro, i pregiudizi finiscono per rincorrersi e cibarsi di se stessi.
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