Regia di Pietro Marcello vedi scheda film
La bocca del Lupo è il titolo di un romanzo tardo-romantico, pubblicato nel 1892 da Gaspare Invrea (Torino-1850, Genova-1917) con lo pseudonimo di Remigio Zena. In questo caso, il romanzo ha offerto il solo titolo; l'opera è frutto dell'attenta partecipazione alla realtà dei personaggi incontrati che raccontano, nel film-documentario, se stessi.
Un film realizzato con bassissimo budget, senza sceneggiatura, ma scritto con l’immediato montaggio delle riprese, secondo la tecnica, cara al regista, di tradurre subito, nel linguaggio del cinema, le immagini raccolte su pellicola.
Prodotto dalla comunità cattolica dei gesuiti di San Marcellino, che organizza l’attività dei volontari che prestano cure e assistenza nelle zone più difficili dell’angiporto, questo film è un un poetico documentario su Genova, l’antica e nobile città marinara, che nel corso del ‘900 aveva incluso nel proprio tessuto sociale i combattivi lavoratori arrivati dal Sud, ma dagli anni '70 aveva cominciato a cambiar pelle, trasformandosi in una città che creava rifiuti ed esclusione e che faceva della zona dell’angiporto un’area in cui un numero crescente di sottoproletari si sistemavano fra la spazzatura, gli insetti, i topi, cercando di sopravvivere col contrabbando e la droga, in tragica collusione con la malavita: era la Genova dei sottoproletari criminali per abbandono, rifiutati dalla società delle persone “per bene”, che, con qualche soldo in tasca, volutamente lasciavano fuori dal loro entourage le nuove leve dell’immigrazione, insieme al passato di sacrifici delle loro famiglie, che nel cuore della città avevano ricevuto disponibile accoglienza
In questa terribile realtà si inserisce anche la poetica “cronaca di poveri amanti” raccontata da Pietro Marcello nella Genova di uomini e donne dei carruggi, dimenticati dal mondo, l’altra faccia della città regina del mare.
Lì due persone si amano. Lui è Enzo – figlio di un contrabbandiere siciliano – con un passato violento che gli è costato ventisette anni di galera – Lei è Mary, dolcissima transessuale, di origine romana, fuggita da una famiglia che condannava la sua sessualità “irregolare”. Mary lo aveva conosciuto in carcere, dove scontava una pena più lieve per reati legati a una tossico-dipendenza che sembrava invincibile.
L’innamoramento era stato vero e profondo, di quelli destinati a cambiare la vita, a darle un senso, a sopportare anni di attesa e di affanni, seguendone, ormai libera, gli spostamenti da un carcere all’altro, per non fargli mai mancare la sua vicinanza ai colloqui; anni di messaggi registrati perché mai gli mancasse quella voce che gli dava la forza di resistere al carcere e al tempo infinito.
Ce l’avevano fatta, e ora, insieme si facevano coraggio per affrontare la durissima vita di ogni giorno, nella realtà di quel quartiere sottoproletario, buio, maleodorante, nel quale altri, fragili come loro, cercavano di mantenere la propria dignità ricuperata, scoprendo, nel calore degli affetti e nella solidarietà, l’umanità che credevano irrimediabilmente perduta.
Un film vero; un documentario insolito.
Meritano qualche attenzione le dichiarazioni di Pietro Marcello:
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