Regia di Jonathan auf der Heide vedi scheda film
Sceneggiatura obbligata, dato il riferimento a fatto di (antica ormai) cronaca reale. Un film di quelli paradossalmente claustrofobici, dove il “chiuso” della natura immensa è raddoppiato dall’assenza totale di vita (vita animale, fatta eccezione per il forellino doppio sul polpaccio che rimanda ad un serpente), se non quella umana. Anzi, sottolineerei, maschile, cosa non da poco per chi come me soffre tantissimo davanti a film che non abbiano almeno una goccia di femmineo da stillare.
Non può che sortire, come effetto, un film al limite dell’horror, dello splatter, per quanto narrante di eventi davvero verificatisi e dunque degni di rispetto (rispetto animale, appunto), ma per parte mia vissuto e visto come un’idea cinematografica pesante, obbrobriosa e di pessimo gusto.
Non condivido i parallelismi con i film di Herzog di pari natura, nel quale le varie sfaccettature ed incognite danno invece quella tridimensionalità che a “Van Diemen’s Land” manca completamente, appiattito su un “magnamose bbene” (detto alla romana) che sottrae ogni interesse già dopo la prima mezz’ora, senza riprendersi mai fino alla fine.
Se si vuole salvare l’impegno di tutto il “Cast & Crew” per lo sforzo di girare un film così estremo, si faccia pure (diciamo tranquillamente: bravissimi tutti), ma non mi si dica che ne è venuto fuori un bel film, perché non è vero.
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