Regia di Damien Chazelle vedi scheda film
DAMIEN CHAZELLE: una panchina nel parco, uno strumento musicale, un balletto concitato e coinvolgente: ecco i capisaldi e le ossessioni di un giovane scaltro e dotato cineasta, che anticipano in questo suo esordio, le tematiche ricorrenti che lo hanno portato ad un successo tutto sommato veloce, contagioso, maturato in soli due altri film cult.
Gli indizi, o i sintomi (a seconda del bene o del male che si voglia all'ormai notissimo Chazelle) di quella che sarà la per ora breve ma sfolgorante carriera in progressiva ascesa del Damien di cui sopra - ci sono proprio tutti.
A partire dalla "panchina del parco" del titolo, ai due innamorati che si inseguono e respingono come calamite, alla vera e propria ossessione di imparare a suonare uno strumento (appare pure la batteria, e pure la medesima ossessione di Whiplash, oltre alla tromba) o di perfezionare sino alla maniacalita' la propria propensione verso quello prescelto.
E ancora la passione per i numeri musicali, veri e propri siparietti ballati benissimo e falsamente improvvisati, meditati nel modo piu' accattivante a cui si potrebbe immaginare (e desiderare).
Chazelle esordisce con un film-esperimento che tasta il terreno per i futuri successi (ed eccessi).
In un bianco e nero apparentemente trascurato che fa molto chic e da' adito ad autorialita' senza bisogno di mezzi eccessivi, il regista racconta, un pò (troppo) in ordine sparso, la storia d'amore tra due ragazzi divisi dalle necessità economiche (lei si trasferisce a N.Y. per trovare lavoro, lui rimane per perfezionare il suo pezzo e cercare quel successo che non riesce ancora a caratterizzarlo) e dalle tentazioni amorose che il destino mette innanzi ad ostacolare la loro storia.
A Chazelle della storia in fondo non sembra importare granché, ed approfitta di ogni occasione per perdersi in sessioni musicali di jazz o balletti appassionati e certo indubbiamente coinvolgenti.
Indizi che spiegano le ossessioni invasate e la tenacia sadica di Whiplash e la verve accattivante di La La Land che induce ad innamoramenti incondizionati a favore del film pluri-candidato oltre ogni immaginazione e prudenza.
E mi convince sempre più di una cosa: Chazelle non è un grande narratore di storie, ma un cineasta con una bruciante passione, anzi due (jazz e musical), che riesce a valorizzare e a far emergere con prepotenza a scapito di tutto il resto.
Nulla di male, anzi onore al merito e alla tenacia. Il problema semmai si intravede pensando al futuro, posto che esso costituisce comunque una incognita imprescindibile per chiunque. Certo d'ora in poi i mezzi difficilmente gli verranno a mancare e proprio per questo sarà opportuno vederlo concentrato sulle idee, e magari su una svolta che ci auguriamo possa caratterizzarne il prosieguo di carriera.
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