Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Brad Macallam (Shannon) è un tipo strano. Alleva nel giardino di casa due fenicotteri rosa, fa parte di una compagnia teatrale che recita tragedie greche e ogni tanto la sua voce interiore, come in occasione di una vacanza in Perù, gli dà suggerimenti bislacchi. Ma la vera illuminazione arriva quando il matricidio inscenato nella pièce teatrale che sta provando si concretizza in casa e l'uomo uccide la madre (Zabriskie) con una spada. La polizia interviene, circonda l'abitazione dove Brad si è barricato, negozia con l'uomo. Il vicinato assiste attonito.
Sgangherato, sconclusionato, con la (falsa) pretesa di offrire allo spettatore il quadro dell'ineffabilità della follia, con Michael Shannon prestato per l'ennesima volta all'unico stereotipo che i registi sembrano disposti a concedergli (Revolutionary road, 13 - Se perdi muori, Take Shelter, Senza freni, The iceman): questo è My Son, My Son, What Have Ye Done. Un film di totale piattezza narrativa, privo di suspense, a tratti grottesco (si pensi all'irruzione del nano sul set o alle riprese in Asia), coprodotto da quell'altra mente sghemba di David Lynch e ispirato a una storia vera. Ma la trasferta statunitense di Herzog è soprattutto l'ennesima prova che il talento dell'ex enfant prodige del nuovo cinema tedesco si è ulteriormente sbiadito.
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