Regia di Werner Herzog vedi scheda film
Una storia vera: un uomo di San Diego che nel 1979 massacra la madre a colpi di sciabola e, giudicato infermo di mente, rinchiuso in un ospedale psichiatrico in Messico per diciotto anni. Una tragedia greca: l'Elettra di Sofocle, in cui Oreste, su ordine di Apollo, uccide senza pietà sua madre Clitemnestra. Un'investigazione privata: due detective alla ricerca di un movente. Un viaggio nelle ignote profondità della follia: una mente malata tra implosione della coscienza ed esplosione dello squilibrio.
L'assassino è Brad McCullum (Michael Shannon), un giovane attore alle prese con l'allestimento teatrale dell'Elettra di Sofocle, in cui interpreta il protagonista Oreste: una mattina esce dalla sua villetta in un quartiere residenziale di San Diego, attraversa la strada, entra in casa di sua madre (Grace Zabriskie) e la uccide con una spada. I vicini riferiscono ai detective che sopraggiungono sulla scena del crimine che l'uomo, armato di fucile, si è barricato in casa sua, probabilmente con due ostaggi. I due poliziotti, Hank Havenhurst (Willem Dafoe) ed il suo vice, Vargas (Michael Peña), mentre sul luogo piombano gli uomini della S.W.A.T., indagano sulla faccenda, interrogano curiosi e testimoni e convocano immediatamente la fidanzata di Brad, Ingrid (Chloë Sevigny) ed il regista con cui stava lavorando in teatro, Lee Meyers (Udo Kier), per riuscire a capirci qualcosa di più: non si spiegano, infatti, i motivi nascosti dietro quel terribile gesto. Anche perchè Brad non li aiuta: urla a Havenhurst di chiamarsi Farouk, pronuncia frasi sconnesse su Dio e gli lancia barattoli di farina d'avena. È Ingrid, finalmente, a chiarirgli che cosa stia accadendo: racconta ai detective che si sarebbero dovuti sposare il mese successivo se Brad, da circa un anno, dopo un traumatico viaggio in Perù, non fosse profondamente ed irrimediabilmente cambiato, dimostrando evidenti segni di squilibrio e sbandierando ai suoi cari la propria conversione all'Islam ("Io non andrò alla ricerca ossessiva dei miei limiti, io fermerò la crescita del mio spirito. Io diventerò un grande musulmano: da ora chiamatemi Farouk"). Havenhurst inizia a comprendere: Brad è un uomo malato, divorato dalla follia, nutrita dall'invadenza sfiancante di sua madre e (ri)svegliata dal personaggio di Oreste, di cui prova e (pre)vede le battute in palcoscenico, fino a fondere le ossessioni di questi due universi nella nuova realtà che popola gli oscuri meandri della sua mente e di cui si professa totale sovrano. È il re del suo nuovo mondo, Brad, di un mondo che vorrebbe cambiare e rendere più giusto, ma da cui, in realtà, sta solo cercando di proteggersi: per riuscirci, però, deve prima espiare la colpa per essere vivo, deve uccidere sua madre e fare tabula rasa del suo retaggio, per potersi finalmente (e liberamente) protendere verso quella luce divina da cui è stato folgorato.
My Son, My Son, What Have Ye Done, "horror senza sangue", segna l'incontro tra due autori eccelsi come David Lynch, qui in veste di produttore esecutivo, e Werner Herzog, che aveva nel cassetto la sceneggiatura del film, firmata, dopo un meticoloso lavoro di documentazione sui resoconti degli interrogatori della polizia, insieme a Herbert Golder (insegnante di lettere classiche e traduttore in inglese delle tragedie di Sofocle), sin dalla fine degli anni Novanta, quando incontrò, appena rilasciato dall'ospedale psichiatrico in cui era stato rinchiuso, Mark Yavorsky, il protagonista della vicenda.
Presentato a sorpresa al Festival di Venezia lo stesso giorno in cui veniva proiettato il remake di Il cattivo tenente, girato in digitale, My Son, My Son, What Have Ye Done è un'opera affascinante, un gioco sperimentale dalle movenze flessuose ed intriganti, orchestrato magistralmente tra lampi di visionarietà e minacciose avvisaglie di tempesta, evocate da una struttura narrativa in cui soltanto gli incastri dei flashback "muovono" l'azione, frantumando la coesione e il rispetto delle tre unità aristoteliche della tragedia greca e consentendone e regolandone le evoluzioni drammaturgiche. Macchina da presa a spalla, piani sequenza, inquadrature fisse, falsi fermo immagine ed insistite panoramiche laterali a cogliere ogni dettaglio, avvolgendo ed opprimendo i corpi per penetrarne la coscienza o lasciandoli stagliare nello spazio in un surreale processo di astrazione. Nei (molteplici) simboli disseminati lungo l'arco del film e nelle atmosfere che lo ammantano e che richiamano entrambe le poetiche cinematografiche dei due autori, si compie, poi, quasi magicamente, l'unione di intenti tra i due cineasti. Racconta, infatti, Herzog: "Lynch sarebbe apparso come produttore esecutivo, ma per tutta la lavorazione del film si è tenuto a distanza. Bizzarramente, anche se non ha avuto parte attiva, il suo cinema ed il mio film hanno trovato un punto di contatto in alcuni momenti. La gente pensa che abbiamo collaborato, che abbiamo scritto insieme la sceneggiatura, ma la verità è che Lynch non ha avuto alcun ruolo, nè per la sceneggiatura, nè per la regia, nè in fase di montaggio e neppure nella scelta delle musiche". Ed invece si assiste alla composizione di un mosaico poetico che si anima, tassello dopo tassello, proprio nella straniante esaltazione/commistione delle differenze: i fenicotteri rosa, i polli e gli struzzi, il rafting in Perù, Aguirre e Woyzeck, i cactus di Cuore selvaggio, il tableau vivant con il nano in smoking, i paesaggi di Twin Peaks e, in sottofondo, Cuccurucucu Paloma cantata da Caetano Veloso, il Brad Dourif di L'ignoto spazio profondo e la Grace Zabriskie di INLAND EMPIRE, il dedalo di lussuose villette californiane in cui si annidano orrori e violenze. Incorniciato dalla magnifica fotografia di Peter Zeitlinger e contrappuntato dalla favolosa colonna sonora di Ernst Reijseger, My Son, My Son, What Have Ye Done trasfigura le primordiali pulsioni culturali evocate dalla classicità della tragedia greca nella destrutturazione delle forme canoniche del thriller, restituendone la scheletrica essenzialità stilistica e sospendendone le atmosfere in un'inquietante provvisorietà per accrescerne il carico di tensione. Cast impeccabile, dal protagonista Michael Shannon al breve (ed irresistibile) cameo di Dourif, passando per la raggelante Grace Zabriskie nei panni della madre di Shannon, a cui Herzog affida più di una memorabile sequenza (su tutte, la cena in famiglia con il dolce di gelatina). Ed, infine, un incipit meraviglioso, con le languide melodie dello splendido Corrido di Valente Quintero, cantato da Chavela Vargas, che accompagnano, mentre scorrono i titoli di testa, il passaggio di un treno sotto un cielo blu elettrico squarciato dalle nuvole.
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